Recensione: Impressions
Due sono le caratteristiche che ad una band dedita al rock sanguigno non devono venir meno: grinta ed energia. Elementi che ai newcomer siciliani Inside The Hole non sembrano assolutamente difettare, in virtù di un approccio sanguigno, ruvido ed aspramente sincero, veicolato in una serie di brani che non badano più di tanto a sofismi e lavori di fioretto.
Hard rock dal rovente taglio bluesy, in cui la parte melodica viene spesso modellata su tempi medi “ciondolanti” a vantaggio di un assalto glabro e senza fronzoli, in qualche sparuto frangente riconducibile alla sfrontatezza rock n’roll dei seminali Motorhead. Magari, addizionati – giusto un pizzico – con una certa irruenza “sudista”.
Musica che non ha, insomma, nel proprio DNA, nulla di raffinato, in alcun modo intenzionata ad accostarsi all’ascoltatore nel tentativo di accattivare con atmosfere rarefatte o delicate.
Molto vicino al proverbiale stile “live”, il terzetto siciliano (attivo sin dal 2009) evidenzia un equilibrio quasi “simmetrico” tra aspetti positivi e particolari meno convincenti, tale da identificare la proposta come ancora non del tutto competitiva nel senso più ampio della definizione. Non ancora, cioè, adatta ad un ambiente superiore a quello del pur gratificante underground nazionale.
Detto di un lavoro ritmico senza dubbio di livello (la rhythm session composta dal drummer Alessio Runfola e dal bassista Emanuele Cutrona, sgranocchia chilometri di accordi e battute) e del chitarrismo molto efficace del leader Roy Zappia, è da sottolineare come le trovate smaccatamente “bluesy” di brani come “Woman Blues”, (dal significativo sottotitolo “A Little Tribute To Buddy Guy”) e “Baby Song” non manchino di suscitare un buon apprezzamento, non fosse altro che per il clima torrido da Cantera Texana – in pieno stile Stevie Ray Vaughan – evocato con notevole efficacia.
Quello che ad ogni modo rende il prodotto della band siciliana ancora perfettibile è, invece da ascrivere ad una produzione dei suoni in larga parte deficitaria, fangosa, chiusa nei toni bassi e priva di brillantezza. Il rock n’roll – bluesy è una bestiaccia selvaggia che non ama finezze, non ci sono dubbi: ma per ruggire in modo adeguato ha bisogno di farsi udire perfettamente.
Quindi, ancor più dolenti, sono le proverbiali “note” riferite al cantato di mr. Zappia, guitar player decisamente molto abile che però si manifesta come ben poco adatto nel ruolo di singer. Non ce ne voglia il volonteroso musicista, tuttavia ci è parso quasi delittuoso il voler sovrapporre a brani energici e comunque suonati in modo egregio, linee vocali sforzate, senza mordente, prive d’espressività. Al limite dell’improvvisazione.
Un particolare che purtroppo fiacca gli esiti di un album che non mostra certo i contorni dell’opera imprescindibile ma che pure, in numerosi aspetti, dimostra preparazione, attitudine ed un onesto amore per il blues-rock verace e sincero, tali da permettere di ben sperare.
Il consiglio è, insomma, di perseverare nello spirito indomito da bluesmen, magari però, mettendosi alla ricerca di corde vocali meglio impostate e più adatte nel rendere efficaci le composizioni proposte.
Una qualità di suono maggiormente definita, potrà poi chiudere il cerchio, permettendo agli Inside The Hole di sperare in qualcosa in più di una timida – per quanto dignitosa – presenza in ambiti “sotterranei”.
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