Recensione: Imprisoned
I Mercury X nascono come band prog. metal nel 2013 a Norrtälje, nei pressi di Stoccolma. I componenti, Martin Björklund, Alfonso Flores, Jonas Vedin e Denis Diaz, s’incontrano ai tempi del liceo ma la band che decidono di fondare deve aspettare alcuni anni per poter dare alla luce i primi due studio album autoprodotti tra il 2014 e il 2017.
In tempi più recenti la band compone una suite da 20 minuti intitolata “Imprisoned”, che avrebbe dovuto costituire le premesse di un EP, ma dopo l’aggiunta di altri 4 brani il nuovo full-length viene dato alle stampe per Frontiers Records, etichetta che crede nella musica dei Mercury X e decide di puntare sul giovane combo scandinavo. Sentiamo allora cos’hanno da proporre.
L’avvio del platter è potente e oscuro, suona moderno ma senza essere spiazzante. “Until The Break Of Day” vive di ritmiche graffianti, ma presenta strofe con linee vocali melodiche. La produzione non è ottimale, ma nemmeno completamente deficitaria. Un inizio tutto sommato positivo, che invoglia a proseguire l’ascolto, anche se parliamo pur sempre di una band con poca esperienza. “The Light In Your Eyes” si snoda lungo 7 minuti riproponendo la pesantezza del comparto chitarristico accostata alle voci eteree; interessante il cambio di tempo a metà brano e la parte strumentale seguente, si respira aria nostalgica anni Novanta… Non manca di oscurità ben gestita la successiva “Lonely”, pezzo più corto in scaletta, ma l’attesa ormai è finita, eccoci arrivati all’ambiziosa title-track nonché suite “Imprisoned”. I primi minuti sono un buon mix di power e progressive, sembra di ascoltar gli ultimi Stratovarius con venature theateriane. Il sound è roccioso, ma senza essere troppo impegnativo. Il primo cambio di tempo è alla fine del sesto minuto, per un attimo vengono in mente i Periphery, poi il tracciato sonoro si ricompone in fretta lungo binari meno riconoscibili ma altrettanto raffinati. A metà della composizione il sound si fa visionario e dilatato, seguono delle ritmiche ruffiane e tirate che sono una goduria, uno dei momenti più trascinanti del disco, del resto non poteva mancare un piccolo tributo a certo thrash. Le successive cadenze accentuate di chitarra feriscono tanto come nella musica dei Proghma-C (qualcuno li ricorda?), poi la suite si chiude senza cedimenti anche se in modo un po’ brusco. Niente da dire, un signor pezzo. L’album cala il sipario con “The Sound Of Nothing”, song che inizia con note eteree di pianoforte e poi esplode con riff granitici, tra djent e nu metal.
I Mercury X sono una band che ricalca alcune sonorità di gruppi scandinavi come Above Symmetry, Communic e Pagan’s Mind, ma si possono citare anche i tedeschi Poverty’s No Crime. Il loro tratto distintivo è la ricerca di una terza via nel mondo progressive odierno, il tentativo di tenere in vita il genere andando a riscoprire il dettato che fu senza essere semplici epigoni privi d’anima. Per ora il risultato è discreto, diamo tempo a questi ragazzi e vediamo se in futuro sapranno consolidare la loro personale visione delle sette note.