Recensione: In All Of Us
Dopo due demo (“… And The Harvest Begins…”, 2006; “Death Scythes”, 2010) e sette anni di carriera, tocca alla label austriaca Noiseheadrecords dare alle stampe il debut-album dei nostri connazionali Deathscythe, “In All Of Us”. L’idea di base nasce infatti nel 2006 per mano del chitarrista Dario Manfredi, del cantante Massimo Maggi e del bassista Andrea Zecca. Il tempo necessario per assestare la line-up e il gioco è fatto: il progetto Deathscythe può iniziare a muoversi con vigore nell’underground parmense.
Un underground buio e freddo, come le lande scandinave dalle cui inimitabili atmosfere i Nostri cercano ispirazione per una musica che sa più di black che di death. Invero i due generi si rincorrono costantemente, lungo “In All Of Us”, superandosi, sovrapponendosi; senza mai dare l’impressione che qualcuno abbia mai deciso da che parte stare. Certe linee affrontate con il growl lasciano intatta la possibilità di far mente locale al death, magari di quello più rozzo e primordiale, tuttavia è l’insieme che ha quell’inconfondibile gusto di black che prende spunto da tanti diversi sapori.
L’umore, innanzitutto. Quel mood drammatico, a volte straziante, spesso melanconico, in ogni caso assai spesso e molto esteso, alimentato con continuità da Massimo e compagni per inglobare la mente verso stati d’animo di afflizione e misantropia. Per fuggire dall’assordante clamore del Mondo, per evitare i vacui luccichii dell’effimero, per vagare indefinitamente nei meandri più bui della psiche; alla ricerca di se stessi, dell’anima, dell’io. Un’operazione senz’altro complessa, che sembrerebbe non avere nulla a che fare con la musica. Invece, i riff ‘lunghi’ e densi di significato lirico elaborati dalle due sei corde tessono una ragnatela emotiva nella quale è facile anzi piacevole cadere intrappolati. Per essere accompagnati, dal folle screaming del vocalist, nei visionari territori dove regna il black metal, appunto. E, dove, prendono forma i sogni, gli incubi, i sentimenti che albergano, nascosti ma vivi più che mai, in tutti gli esseri umani. I Deathscythe non amano particolarmente la velocità, evitando di tappezzare il lavoro di blast-beats come in alcuni passaggi di “The Pact” e ciò, probabilmente, aiuta tale processo di approfondimento passionale.
E, a proposito di black, c’è da evidenziare con piacere che quello sciorinato dagli emiliani ha una fisionomia propria; difficile da avvicinare a quella di qualche act similare. Segno di una maturità artistica sufficiente a forgiare uno stile dotato di personalità, ricco di carattere e lontano dal riproporre i soliti cliché. “In All Of Us” non rimarrà negli annali per la sua originalità, che anche dopo pochi ascolti – però – non mancherà di rendere vivo il legame con i Deathscythe, insomma.
Un po’ meno adulta, al contrario, la composizione; al momento incapace di regalare l’identico standard lungo la durata del disco. Per intendersi meglio, “Angels’ Lament”, grandioso episodio ricco di epica melodia e di coinvolgente emotività, pare essere ancora slegato dal resto. Sicuramente di livello più che sufficiente, ma non abbastanza da raggiungere la vetta cui si pone la song appena menzionata.
A ogni modo la base c’è, per cui “In All Of Us” può essere osservato quale classica Opera Prima per prendere confidenza con la realtà delle produzioni professionali. I Deathscythe di stoffa ne hanno. A loro la responsabilità di confezionarla al meglio.
Daniele “dani66” D’Adamo
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