Recensione: In At The Deep End
Uno che ha fatto parte dei Tigertailz nelle vesti di cantante per dieci anni non può di certo essere l’ultimo cudéghin sulla piazza. Sebbene Rob Wylde (qui sua intervista) sia appartenuto alla storica glam metal band britannica soltanto a partire dal 2012, quindi nulla a che vedere con i vari Young and Crazy (1987) e soprattutto Bezerk (1990), la sua militanza con i gallesi annovera un paio di Ep (Knives, 2014 e Shoot To Kill 30 Years Reissue, 2016 ) e due album, Lost Reelz del 2015 e Blast del 2016.
Rob Wylde è però anche il fondatore dei Midnite City, un gruppo che si professa 100% hair metal. E questa dichiarazione d’intenti non può che far piacere, dal momento che spesso, ancora oggi, sorgono attacchi gratuiti da parte di discutibili censori affatto titolati i quali additano l’hard rock californiano degli anni ‘80 come l’origine di tutti i mali. Dokken, W.A.S.P. e L.A. Guns li vogliamo quindi buttare a mare?
Appartenenza significa lottare per quello in cui si crede, sia esso Epic Metal, Black Metal, Death Metal, Hard Rock, Thrash Metal, Speed Metal, Aor e chi più ne ha più ne metta. Chapeau quindi a Wylde & Soci.
I Midnite City esistono dal 2017 e a oggi hanno realizzato un Ep (Open Invite, del 2019) e quattro album, Midnite City del 2017, There Goes The Neighbourhood del 2018, Itch You Can’t Scratch del 2021 e In At The Deep End, quest’anno, oggetto della recensione. La line-up 2023 schiera, oltre a Wylde alla voce e alla chitarra ritmica, Miles Meakin alla chitarra, Josh “Tabbie” Williams al basso, Shawn Charvette alle tastiere e Ryan Briggs alla batteria.
Il Cd, licenziato sul mercato dall’etichetta tedesca Pride & Joy Music, missato dal vincitore di un Grammy (Chris Laney, già all’opera con Europe, Crash Diet e Crazy Lixx), consta di quarantaquattro minuti di musica declinata lungo undici tracce ed è accompagnato da un libretto di dodici pagine con tutti i testi (i titoli delle canzoni sono riportati come se fossero insegne al neon di colore azzurro chiaro, una trovata semplice ma fottutamente efficace, anche se demodé per qualcuno), una foto della band nelle due centrali e le ultime facciate dedicate agli special thanks e alle note tecniche di prammatica.
Dentro In At The Deep End convivono amabilmente le maggiori influenze hard’n’glam made in Usa con qualche spruzzata di melodia europea, nella fattispecie britannica, prevalentemente. Echi di Poison, Warrant, Firehouse, Danger Danger, Steelheart, Slaughter e, ovviamente, Tigertailz ma anche Def Leppard e Pretty Maids.
Rob Wylde è frontman di razza cristallina, artista che farebbe comodo al 90% delle band di puro hard rock melodico in circolazione, uno che sa pennellare il giusto e tirare quando serve, senza macchie di sorta.
In At The Deep End si risolve in un coacervo di Hair Metal purissimo carico di tastiere curato in ogni suo particolare e prodotto in maniera impeccabile. Un Cd dalla “botta” alle casse assicurata, forte, decisa e penetrante. A partire da “Ready To Go” (“Outbreak”, posta in apertura, è l’intro di rito) sino ad arrivare a “Like There’s No Tomorrow” i Midnite City si mantengono sul pezzo senza sbagliare un colpo che sia uno passando dal lentone di turno (“It’s Not Me It’s You”) alla toccante “Beginning Of The End” al rock arena di “Good Time Music”. Manca il brano che spicca sul resto, ma trattasi di peccato veniale, data la qualità media sostenuta per tre quarti d’ora.
Stefano “Steven Rich” Ricetti