Recensione: In Defiance Of Existence

Di black75 - 9 Febbraio 2003 - 0:00
In Defiance Of Existence
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Anno: 2003
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80

Gli Old Mans Child tornano alla ribalta con un nuovo album che nulla ha a che fare col precedente Revelation 666: The curse of damnation, che aveva lasciato l’amaro in bocca a tutti i loro fans. A dispetto di quanto ci si potesse aspettare Galder (il leader della band impegnato ultimamente anche con Dimmu Borgir) è riuscito a trovare il tempo necessario da dedicare a quest’album ed a riportare ad un più alto livello i lavori firmati “Old Mans Child”.

Felonies Of The Christian Art è l’ opener dell’album, potente, orecchiabile (grazie alle tastiere) e con cambi di tempo veramente apprezzabili. E’ poi la volta di Agony Of Fallen Grace, ritmi e riffs forsennati miscelati con momenti di melodia, più bella a mio avviso della precedente; si prosegue con Black Seeds On Virgin Soil, song dalle tinte oscure che scorre via liscia come l’olio e si arriva velocemente ad In Defiance Of Existence: di sicuro uno dei punti di forza di tutto l’album, sound accattivante che ti si stampa subito in mente, come del resto accade quasi nella maggior parte dei casi per le title-track.

Devastante e dai ritmi forsennati Sacrifice Of Vengeange, song splendida sotto ogni aspetto. Di sicuro valore anche The Soul Receiver, che forza ancora più i ritmi e che conferma fin qui la qualità medio-alta dell’intero album. A questo punto viene inserita una traccia che forse vuole avere la funzione di far prendere all’ascoltatore un po’ di respiro. La sensazione è che comunque non ce ne fosse bisogno, il sospetto è che sia stata inserita tanto per far numero fra le canzoni sul retro della copertina (nove in tutto compresa questa). Cinquantadue secondi di “nenia” con la chitarra classica che alla fine passano in fretta, non intaccano la bellezza del CD ed introducono The Underworld Domain, pezzo apprezzabile ma che ricorda in qualche passaggio (strano ma vero) un brano degli ultimi Symphony X.
Si chiude con Life Deploved, veloce e diretta come alla fine risulta un po’ essere tutto il disco.

In definitiva quindi un buon lavoro, un album di tutto rispetto che sarà certamente l’artefice del riavvicinamento alla band da parte di quei fans che forse avevano prematuramente dato per “segnato” il destino di questa black-band.

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