Recensione: In Extremis
Sesto capitolo discografico per i polacchi Azarath, progetto death/black metal che, per alcuni aspetti, ricalca i passi iniziali dei Behemoth, puntando poi, eccellendo, nel genere della morte. Non a caso il batterista è Inferno, protagonista anche nella band di Nergal.
“In Extremis” è un’autentica bordata di odio che investe scalzando via deboli corpi di incertezze e paure. Un sound a metà tra Hate, Morbid Angel, con ambientazioni però più oscure e dark. In tal guisa, ci vengono in mente per voce ed espressività, anche i norvegesi Aeternus ed il sound dei loro ultimi dischi. Parliamo di una cupezza che tutto avvolge e che poi si scatena in una violenza che tramortisce senza mezze misure.
Il lavoro delle chitarre, sempre guizzanti e taglienti, ci ricorda i suoni tipici della scuola polacca, tonalità che ci rammentano i Dragon, band seminale nel paese di origine. Morte il cui sapore resta sulle labbra e che negli occhi si manifesta con un pallido fuoco che tutto però intacca, consumando.
Angoscia scalciata via, rabbia che addenta e dilania lasciando colare via rigoli di sentimentalismo. Sangue segue solchi lasciati a terra, riportando alla vita figure di mestizia scavate da mani nodose e mosse da ultimi sussulti di vita. Aggrappati a quell’ultimo contatto con l’esistenza lasciamo testimonianza di noi ed a quel solco affidiamo il terrore di essere dimenticati, il senso di colpa di non aver chiesto perdono.
In quelle righe riparte la reazione, la rabbia degli Azarath, le cui note poi pennellano questa tela di fredda terra, intitolandola “In Extremis”. Full-lengt furioso, la cui bestialità trova solo pace nella collera, un paradosso in cui ira regna sovrana, ma in cui tutto viene direzionato con chirurgica maestria.
Gli Azarath riescono così a veicolare una forza indomabile, un cono di cerebralità che, come bocca di vulcano, lascia sgorgare, furibondo, tutta la nera ed incandescente lava che ha dentro. In un ideale flusso continuo di energie, i pezzi ci raggiungono svuotandoci e lasciandoci , ad ogni ascolto, al contempo pieni di un vigore nuovo.
Le chitarre si esprimono in un assolo continuo, le cui vette sono inondate da un sole che fa capolino nei brani. Non mancano istanti di pausa, melodie che impreziosiscono un fiume in piena che tutto travolge, inghiottendo. In tale esaltazione gli artisti trovano il tempo per pindarici voli di tecnica, senza però mai precipitare nell’amor proprio e nel compiacimento. Album da ingurgitare tutto d’un fiato e che non smetterete di ascoltare presto, per contenuti che vanno ben al di là del concetto di estremo. Sottolineiamo la genuinità di un sound rispettoso del verbo death e black, che con impetuosità però ci abbaglia, e la cui personalità si evince da un’interpretazione imbevuta di passione.
Stefano “Thiess” Santamaria