Recensione: In For The Count [Reissue]
Nella prima metà degli anni ’80, numerose band, nate in quel rigoglioso periodo – non a caso definito come “Golden Era” – o già stabilmente attive durante gli anni ’70, contribuirono alla creazione di quel fantastico genere denominato poi Adult Oriented Rock.
Gli Stati Uniti d’America, oramai lo sappiamo, iniziarono proprio in quegli anni la loro irrefrenabile ascesa – e restano tutt’ora ineguagliati – al primo posto nella classifica dei paesi che hanno fornito più compagini musicali al mondo del rock melodico.
Se Boston, Toto e Foreigner avevano già dimostrarono qualcosa sul finire dei ’70, gruppi altrettanto fondamentali e imprescindibili come Journey, Survivor e REO Speedwagon trovarono il meritato e agognato successo “solo” – come se fosse poco – nella decade successiva.
Ma le formazioni di Neal Schon e Jim Peterik non furono certo le sole a tentare la fortuna. Una miriade di altre band compì grandi sforzi per emergere dall’anonimato, probabilmente il nemico più temibile per chi scrive e compone musica, soprattutto in un’epoca simile, in cui il successo poteva sì presentarsi dietro l’angolo, ma la strada verso l’oblio era altrettanto facilmente percorribile e, purtroppo ampiamente battuta.
Tra i coraggiosi cacciatori di gloria, gli americani (guarda caso) Balance sono da annoverare nella ristretta cerchia di coloro che riuscirono a ritagliarsi un posto di tutto rispetto nei cuori dei melodic rockers più accaniti. Il gruppo, la quale ossatura era composta da musicisti d’eccezione come l’ottimo singer Peppy Castro, il funambolico chitarrista Bob Kulick (Michael Bolton e numerose collaborazioni fra le quali Kiss, W.A.S.P. e Meat Loaf) e l’esperto tastierista Doug Katsaros (Arcangel, Michael Bolton), riuscì – avvalendosi del prezioso aiuto offerto dal sempre affidabile drumming di Chuck Burgi (Rainbow, Joe Lynn Turner, Red Dawn) e del basso di Dennis Feldman – a sfornare un lavoro che ancora oggi viene considerato dai più come una delle pietre portanti delle fondamenta dell’AOR: “In For The Count”, datato 1982.
Se con il debutto omonimo dell’anno precedente il quintetto a stelle e strisce non riuscì a convincere appieno pubblico e critica, con questa seconda opera si sono molto probabilmente meritati l’Oscar alla miglior opera AOR dell’anno di pubblicazione, forse a pari merito con il mitico “IV” dei Toto. “In For The Count” è, infatti, un album abbastanza atipico e particolare, senza dubbio dotato di caratteristiche uniche, che lo rendono distinguibile tra i numerosi prodotti del genere. È una perfetta fusione tra il rock più melodico e le tipiche sfuriate di Hard Rock made in U.S.A., durante le quali le telecamere rimangono fisse sulla chitarra super ispirata di Kulick, ma senza relegare in un angolo buio le sempre geniali trame tastieristiche di Katsaros, ammantate, in questo caso più che mai, da un tocco magico dal forte sapore futuristico.
Sta al grintoso singer Castro il difficile compito di sfruttare il lussuoso tappeto sonoro da loro magistralmente costruito, impegno sbrigato alla grande, con una prestazione sopra le righe e di difficile replica. Per questo è stato possibile coniare veri e propri gioielli d’oro scintillante come la superba title-track, l’accoppiata “Is It Over” – “Slow Motion”, forse gli episodi più AOR-oriented dell’intero lavoro assieme alla conclusiva “We Can Have It All”, e “On My Honour”.
Con la ruggente “Undercover Man” i confini del genere vengono oltrepassati quasi del tutto: sembra addirittura di sentire un pezzo miracolosamente pescato da “Love At First Sting” degli Scorpions, per quanto incide e taglia la sei corde di Kulick.
Non ci sono passi falsi né cambi di rotta, melodia e ritmi elevati continuano a convivere per tutta la durata del lavoro. “All The Way” e “Bedroom Eyes” (dal coro che farebbe invidia ai migliori Toto) sono capitoli “fatti con le unghie e con i denti”, ma dotati della classe e dell’eleganza vellutata tipica del genere, mentre il ritmo blues e cadenzato di “Pull The Plug” si presenta come una mosca bianca, essendo l’unica eccezione in grado di spezzare il ritmo frenetico ed elettrico.
Questa sua natura particolare e atipica (basti pensare che non è presente nemmeno una ballad), questa sua irresistibile miscela di energia e senso melodico, rende “In For The Count” qualcosa di unico, una sorta di ibrido. Viene quasi da chiedersi se anche mostri sacri come Night Ranger e Giant abbiano studiato a fondo la formula di Kulick & Co. Sicuramente, a noi appassionati resta una delle testimonianze più evidenti di un periodo glorioso ed irripetibile, ovvero un disco, “In For The Count”, in grado di farsi ricordare degnamente anche negli anni a venire come un classico indiscutibile.
Nota: nel 2007, la Rock Candy ha reso disponibile sul mercato la ristampa dell’album con l’aggiunta di due bonus track: “Ride The Wave” e “She’s Alone Tonight”.
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Tracklist:
01. In For The Count
02. Is It Over
03. Slow Motion
04. Undercover Man
05. On My Honour
06. All The Way
07. Pull The Plug
08. Bedroom Eyes
09. We Can Have It All
10. Ride The Wave
11. She’s Alone Tonight
Line Up:
Peppy Castro – Voce
Bob Kulick – Chitarra
Doug Katsaros – Tastiere
Dennis Feldman – Basso
Chuck Burgi – Batteria