Recensione: In Goat We Trust
“Noi siamo sporchi, brutti e grassi. Siamo la peggior gang dell’inferno!”.
Si presentano in modo molto diretto i Whiskey Ritual – band di Parma fautrice di un black metal dalle forti influenze rock e punk – proponendo una musica ottimamente eseguita ma dallo stile decisamente grezzo e “sporco”.
Motore instancabile del gruppo, nonché potenziale garanzia di qualità è il batterista Asher, attivo in diverse realtà emiliane (Forgotten Tomb su tutti) e in possesso di un “tiro” assolutamente invidiabile.
Chiara intenzione del combo tricolore è quella di ricalcare le orme di Venom, ultimi Darkthrone e Satyricon, con quel “tocco” di Motorhead che quando si parla di musica diretta ed “in your face” non può certo mancare.
Approccio muscolare quindi, meno “tagliente” e gelido rispetto al “true blackmetal” norvegese di seconda generazione, più moderno ma proprio per questo, paradossalmente maggiormente “old school” – rifacendosi alla vera prima ondata black – meno attenta alle sensazioni ed al sensazionalismo.
Un prodotto “riff oriented”, con un lavoro di chitarra sorprendente, partiture memorizzabili e devastanti ed una voce al vetriolo davvero sopra le righe.
Dorian Bones, vero screamer di razza e leader della band, a volte diciamolo, si lascia prendere la mano (l’ugola), arrivando al punto da sembrare un vero indemoniato e di lacerarci le orecchie con screaming raggelanti e tritaossa.
Va dato atto tuttavia, che il giovane singer “interpreta” ogni brano con uno spirito diverso, mostrando una duttilità sorprendente e davvero rara in campo estremo, passando dal growl, allo scream black, da un timbro simil “Lemmy” ad un altro tirato ma comunque intelligibile.
Songwriting strappa-applausi, tecnica assolutamente degna di nota e immagine curata e coerente con la propria proposta musicale, sono i punti di forza del gruppo che non ci lascia un minuto di respiro continuando a martellare i nostri padiglioni auricolari per l’intera durata del lavoro.
Le tracce di “In Goat We Trust” colpiscono come schegge impazzite esplose da una croce infranta e davvero, nonostante tutti i nostri sforzi, non riusciamo a trovare dei lati negativi in questo lavoro.
La musica forse, a volte non mantiene quell’equilibrio auspicato tra rock’n’roll, hardcore-punk e black metal, finendo spesso per far preponderare un genere sull’altro, ma “perdoniamo” i musicisti, sicuri (e speranzosi) che in futuro sapranno far coesistere al meglio tutte le loro influenze.
I testi, eccezion fatta per lo splendido brano in italiano (“Legione D’Assenzio”), sono scontati e semplici, principalmente basati su quattro temi portanti: Satana, le donne (spesso “apostrofate” come l’antica città dell’Asia Minore), droga e alcol.
Non ci sentiamo ovviamente di criticare questa scelta, assolutamente coerente con il mood del disco, né l’atteggiamento (che si evince parzialmente dal booklet) della band, che si esibisce in pose “evil” e che lancia proclami di cattiveria e misantropia.
Avevamo parlato di coerenza e questo giovane quartetto n’è colmo fino all’inverosimile.
Un album splendido, fresco, che si lascia riascoltare ripetutamente senza stancare, complice anche un’ottima produzione (Moonlight Studios, Parma).
Ricordiamo che Apollyon, cantante dei norvegesi Aura Noir, partecipa come lead vocal al brano “One Million”.
Concludendo, ci troviamo al cospetto di una band strafottente, che pensa di essere quella versione black metal dei Motorhead che tanti gruppi “ex-bruciatori di chiese” vorrebbero essere.
Il problema è che ci sono dannatamente vicini ma…se la tirano già fin troppo per dirglielo!
Debutto assolutamente da avere!
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Tracklist:
01. Black’n’Roll
02. In Goat We Trust
03. One Million
04. Drunken Night
05. My Wind
06. Maryann
07. Devil’s Street
08. Legione D’Assenzio
09. The Humans’King
10. Whiskey Ritual
Line Up:
Dorian Bones – Voce
Plague – Basso e cori
A. – Chitarre
Asher – Batteria