Recensione: In Harmonia Universali
Vanta uno dei titoli più sereni e forse più belli del panorama metal In harmonia universali, quarto venuto nell’eterogenea discografia dei norvegesi Solefald.
Esce nel 2003, ancora per la Century media. Sebbene qui il duo segua le linee stilistiche tracciate dal precedente Pills against the ageless ills (2001), mai come in questo episodio lo spirito apollineo che anima l’inconfondibile sound della band finisce per prevalere su quello dionisiaco. In termini meno filosofici, In harmonia universali è un disco in cui l’intelligenza prende decisamente il sopravvento sulla forza bruta, riuscendo a dare solide geometrie alla genialità dei nostri.
Rispetto ai predecessori è subito facile notare un ulteriore smorzamento dei toni estremi, nonché un rallentamento delle ritmiche; non a caso rimane tuttora il più lungo disco realizzato da Cornelius e Lazare. Ci troviamo di fronte a dieci brani estremamente strutturati ed in continuo divenire, seppur non schizofrenici. Troviamo tutti gli elementi caratteristici del sound dei Solefald: le chitarre classicamente metal da un lato e il caratteristico sound delle tastiere, un sound che in quegli anni, coll’entrata di Lazare nei Borknagar, era andato a colorare ancor di più un album già superlativo come Empiricism (ascoltare The black canvas per credere).
C’è poi lo scontro vocale delle due voci, mai come in questo disco così ben riuscito. Da un lato Cornelius, anima dionisiaca, abbandona del tutto il growl lancinante degli inizi in favore del nuovo stile, il rantolo che aveva già fatto la sua comparsa in Pills; dall’altro ci sono le partiture corali tessute da Lazare, spirito apollineo, acquisiscono ulteriori complessità e varietà. Le canzoni sono, dal punto di vista dei testi, presentate da brevi introduzioni che ne svelano il significato. Ogni canzone è marcata da una sua specifica “virtù” (giustizia, conoscenza, creatività, virtù, piacere, musica, fertilità, carità, protezione, luce), tanto che il disco nel suo insieme si presenta come una sorta di albero sefirotico.
E ancora, le varie virtù (teoricamente opposte) vanno a completarsi l’un l’altra, formando, per l’appunto, l’armonia universale del titolo. Ma è pure da rilevare che mai come ora i due norvegesi hanno dato sfogo alla loro abilità di poliglotti.
Come vedremo, In harmonia universali è un vero e proprio caos di Babilonia.
Si apre splendidamente con la drammatica e mutevole Nutrisco et exstinguo: un brano cabalistico cantato in norvegese, sicuramente uno dei punti forti del disco, anche grazie alla sporadica comparsa di una chitarra classica che riporta alla mente certi passaggi acustici dei Novembre. Arriva poi l’incalzante riff di Mont blanc Providence crow (il crow è Munin, il corvo della memoria nella mitologia nordica): forse la song più nota del duo, vero e proprio ‘singolo’ del disco e dotato di un vero e proprio video.
I toni si riabbassano nella marcia funebre Christiania, sicuramente uno degli episodi più rimarchevoli dell’intero album. Ispirato all’autoritratto all’inferno di Edvard Munch, questo brano ci propone una sorta di dialogo (in realtà due monologhi separati) tra il pittore, che prende voce nel cantato norvegese di Lazare, e la morte che parla tramite il rantolo in francese di Cornelius. Il brano poi prosegue seguendo svariati cambi di ritmo, tra atmosfere cupe dominate da tastiere e cori operistici che paiono architettati da Morten Veland.
I toni tornano a farsi pesanti nella maestosa Epictetus & irreversibility prima di cedere il passo ad un’altra perla, Dionisify this rite of spring, col suo ritornello anthemico e la sua digressione jazzistica, guidata dal sassofono di Kjetil Selvik. Red music diabolus è un brano strumentale, mentre in Buy my sperm, forse il brano più pesante del disco, torna ad aleggiare lo spirito di Munch, stavolta esemplificato dalla sua xilografia della madonna, circondata appunto da una cornice di spermatozoi. Ennesima perla di un disco senza punti deboli, Fraternité de la grande lumière è un altro brano dominato dal sassofono e da uno splendido ritornello, una preghiera a Jahvé (o forse a Marx?) in francese.
E ancora la bellissima The liberation of destiny, in cui tornano Munin e Odino, brano in cui la tensione cresce costantemente prima di lasciar spazio alla conclusiva, crepuscolare, Sonnenuntergang im Weltraum (ancora Apollo, attorno a cui tutto ruota in questo album). Qui si registra il ritorno delle chitarre acustiche, delle tastiere funebri. Sonnenuntergang im Weltraum segnala anche, manco a dirlo, l’ennesimo cambio di lingua: stavolta il tedesco, e il richiamo ai Rammstein non è neppure tanto vago.
Disco amatissimo dei fan e forse il più noto del gruppo, In harmonia universali è un’opera estremamente matura ed equilibrata, sebbene ciò vada a dispetto della follia pura che aveva reso grandi i dischi degli esordi ed in particolare Neonism. Un disco studiato in ogni minimo dettaglio ed in cui tutto fila per il verso giusto, in cui ogni nota contribuisce a costruire un mosaico sonoro davvero grandioso ed originale.
Ennesima pietra miliare dell’avantgarde metal scandinavo targata Solefald.
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TRACKLIST:
- “Nutrisco et Extinguo” – 7:11
- “Mont Blanc Providence Crow” – 5:16
- “Christiania (Edvard Munch Commemoration)” – 8:20
- “Epictetus & Irreversibility” – 5:58
- “Dionysify This Night of Spring” – 8:12
- “Red Music Diabolos (Instrumental)” – 4:34
- “Buy My Sperm” – 4:35
- “Fraternité de la Grande Lumière” – 5:12
- “The Liberation of Destiny” – 6:28
- “Sonnenuntergang im Weltraum” – 4:32