Recensione: In Strange Aeons…

Di Matteo Di Leo - 27 Dicembre 2013 - 1:04
In Strange Aeons…
Band: Crimson Dawn
Etichetta:
Genere: Doom 
Anno: 2013
Nazione:
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70

 
I Crimson Dawn sono progetto di Dario Beretta, chitarrista e leader della nota power metal band milanese Drakkar. In questo nuovo ambito, Dario sviscera tutta la sua passione per il doom epico degli anni ottanta, pagando un sentito tributo a quei gruppi che fecero grande il genere, in primis gli inarrivabili Candlemass.
 
Ecco quindi scorrere un’oretta scarsa di note lente, solenni ed evocative, indissolubilmente legate al tempo che fu ma non per questo vetuste o anacronistiche, visto che comunque sono ancora molti gli artisti che rientrano in tale corrente.
 
Dopo la lunga introduzione a nome “Forge of aeons”, la prima vera canzone è “Tower of sin”, brano che poteva tranquillamente uscire dalla geniale penna di Leif Edling dato che sembra trasudare del culto svedese. Idem dicasi per “Black Waters” in cui spicca l’ottima prova del cantante Antonio Pecere, soprattutto nello splendido coro. 
 
Inutile dire che Dario e Antonio siano i mattatori del disco, con il primo che si dimostra ancora una volta un validissimo chitarrista, mentre l’ex voce dei Sigma risulta perfettamente calato nella parte, con un’interpretazione salmodiante e intensa, soprattutto nel vibrato. Una nota di merito deve essere fatta anche per Emanuele Laghi: le sue tastiere discrete riescono a ritagliarsi il giusto spazio sia nell’aumentare il tasso atmosferico dei pezzi che nelle (poche, a dire il vero) parti soliste, aggiungendo note e colore allo scenario.
 
Altra canzone molto bella è la sinistra “Cosmic Death”, anche essa dotata di un ritornello a dir poco vincente, con tanto di citazione lovercraftiana da cui apprendiamo l’origine del titolo del disco.
L’autocelebrativa “Crimson Dawn” è sicuramente l’episodio più epico del lotto, mentre “March of the masters of Doom” e “Scourge of the dead” rappresentano il lato più aggressivo e vicino al power, un lato che inevitabilmente esce fuori in album di questo tipo, non fosse altro per spezzare il ritmo dello stesso.
 
L’unica canzone che non mi convince appieno è “Siege at the golden citadel”: troppo lunga, con alcune parti evitabili e nel complesso poco coinvolgente. L’unico intermezzo da rimarcare è quello dal sapore folk, sicuramente ben suonato e di buon gusto, ma anche nella già citata “Crimson Dawn” è possibile ascoltare qualcosa di simile, per cui viene meno anche questa “eccezionalità”.
 
Il sigillo su una dichiarazione d’amore verso il doom più puro non poteva non portare il marchio dei Maestri assoluti Black Sabbath, ed infatti in chiusura troviamo una cover della stupenda “Over and Over” dal classico “The Mob Rules”.
 
I tanti adepti della “musica del destino”, quelli che ne tengono viva la passione avranno di che godere con ”In Strange Aeons…”, quindi per loro questo disco rappresenta un altro ascolto pressoché obbligato, dopo il sensazionale “The White Goddess” degli Atlantean Kodex.
 
 
 
 
Matteo Di Leo.
 
 
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