Recensione: In The Court Of The Crimson King

Di Rebellion - 22 Giugno 2003 - 0:00
In The Court Of The Crimson King
Band: King Crimson
Etichetta:
Genere: Prog Rock 
Anno: 1969
Nazione:
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100

Robert Fripp – guitar
Ian Mc Donald – reeds, woodwind, keyboards, mellotron, vibes, vocals
Greg Lake – bass guitar, lead vocals
Michael Giles – drums, percussion, vocals
Peter Sinfield – words

Dopo il primo album The Cheerful Insanity Robert Fripp e Mike Giles diventano un quartetto grazie alle new entry del bassista-cantante Greg Lake, del polistrumentista Ian Mc Donald e del paroliere Pete Sifield dando vita ai King Crimson. I Re Cremisi debuttano con il rivoluzionario In the court of the Crimson King, che esce nel 1969 inserendosi a pieno titolo nel nascente filone del progressive-rock. Forti della nuova scoperta musicale del mellotron (strumento che consente di simulare il sound di un orchestra) fondono le influenze classiche con quelle psichedeliche dando vita ad uno stile maestoso, visionario, esotico, che non aveva precedenti nella musica di allora. Uno stile condito da forti tinte romantiche e influenzato dalle varianti jazz operate da Fripp, che si rivelerà poi una delle più grandi intelligenze musicali della storia del rock.

The Court of the Crimson  King, sognante fusione di folk medievaleggiante, musica classica, jazz e rock, rende l’idea della fantasiosa armonia tra la genialità di Fripp, la leggiadria di Mc Donald, e il tempo marziale di Giles. Un volo di visioni e allucinazioni, coadiuvato anche dai testi sognanti (anche se a tratti un pò grotteschi) di Sinfield. Sogni allucinati che appaiono anche in I talk to the wind, tenue ballata accompagnata da oboe e vibrafono.Ma i veri capolavori sono le altre tre canzoni contenute nell’album, cominciando da Moonchild, dove le atmosfere goticheggianti trovano posto in un ambiente del futuro e il cantato lieve di Lake trascina imprescindibilmente l’ascoltatore. Epitaph è l’apoteosi sinfonica dell’album, apre con la maestosa presenza del sopraccitato mellotron, per ridursi ad un cantato accennato e malinconico che piano piano introduce ad un crescendo apocalittico, il tutto caratterizzato da un forte pathos. 21st century schizoid man appare fuori luogo rispetto all’andamento gotico del disco, ma è l’ennesimo pezzo che ci fa comprendere la genialità dei King Crimson. Una canzone futurista, parte con una voce distorta (come se volesse rendere la schizofrenia dell’uomo del ventunesimo secolo), per poi sfociare in una furibonda jam tra la chitarra di Fripp e il sax di McDonald (senza contare la splendida prova della batteria di Giles), puro delirio musicale.

Fondere tre elementi così diversi come la musica classica, il jazz e il rock sembra un’impresa disperata, eppure i Crimson ne tirano fuori una musica cromatica, a tinte forti, ma che non stona mai. E’ con questo album che inizia la straordinaria avventura musicale di Fripp e dei King Crimson, che tra sferzate jazz, tentazioni astrattiste, incubi surrealisti, delizieranno gli amanti del genere per almeno altri quindici anni. Conculdendo, quest’album è a mio parere il migliore dei nostri e fra i migliori dell’intero genere del prog-rock, nella sua variante più romantica.

Tracklist:

1 – 21st Century schizoid man
2 – I talk to the wind
3 – Epitaph
4 – Moonchild
5 – The court of the Crimson King

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