Recensione: In The Court of The Dragon

Di Luke Bosio - 5 Ottobre 2021 - 9:51
In The Court of The Dragon
Band: Trivium
Etichetta: Roadrunner Records
Genere: Metalcore  Thrash 
Anno: 2021
Nazione:
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80

Nonostante abbiano venduto milioni di dischi, supportato una sfilza di band importanti (Iron Maiden e Metallica su tutti) e avuto i loro vari tour da headliner, i Trivium causa cecità conclamata, ottusità mentale e forti pregiudizi nei loro confronti, sono ancora una delle band più sottovalutate dell’industria metal. Specialmente qui, nel Vecchio Continente, il loro sound non è stato apprezzato come avrebbe meritato. Nel corso della loro carriera hanno ottenuto più volte il plauso della critica specializzata e il successo commerciale pubblicando 9 dischi in studio strabilianti, nuove uscite che ogni volta superavano quelle precedenti, ma per la stragrande maggioranza degli utenti metal sono ancora etichettati come band antipatica.

Durante l’ultimo periodo i Trivium hanno cementato una stabile line-up: Matt Heafy (voce e chitarra), Corey Beaulieu (chitarra solista e cori growl), Paolo Gregoletto (basso e cori puliti) e Alex Bent, batterista fenomenale. Questi musicisti in vista del loro ritorno discografico sono indiscutibilmente in grande armonia tra loro. La band ha chiaramente affinato il mestiere e sviluppato un suono onnicomprensivo dovuto in non piccola parte al tono e all’estensione vocale assai distinta di Heafy. Che questa possa piacere o meno è così e non cambierà. Ad un anno di distanza da ‘’What The Dead Man Say’’ e lunga inattività live imposta dal Covid-19, la band americana si è dedicata alla stesura del nuovo capitolo dando così vita al decimo album in studio dal titolo “In the Court of the Dragon”.

Ancora una volta i Trivium proseguono la loro caratteristica combinazione di thrash metal (80%) e deflagranti breakdown assassini in stile metalcore (20%) portando il tutto ad un livello superiore rispetto anche al recente passato. Si riparte obbligatoriamente dalle coordinate tracciate con “The Sin And The Sentence” e “What the Dead Men Say”, anche se questo nuovo lavoro è più potente, aggressivo e tecnico, e gradatamente meno melodico degli album appena citati. Le tracce abbondano di cambi di tempo che colgono ogni volta l’ascoltatore impreparato. L’abilità mostrata nella scrittura e nell’arrangiamento non solo offre il classico binomio vincente thrash/metalcore melodico che i fan dei Trivium nel corso degli anni hanno imparato ad apprezzare e ad amare, ma anche un sacco di altre influenze e sfumature che anche i fan di altri sottogeneri apprezzeranno. Il suono è vario e prodotto in modo impeccabile e permetterà alla band di fare un ulteriore passo in avanti e superare quanto prodotto sinora. Alla fine, questo disco si rivelerà come una pietra miliare del loro catalogo! L’apertura dell’album è affidata a “X” (composta da Ihsan, boss della black metal band Emperor), presumibilmente un cenno a rimarcare come questa sia la loro decima uscita e dura poco più di un minuto. Trattasi di un intro con canti gregoriani che poi si riversa esplodendo su “In the Court Of The Dragon”, che parte in maniera epica e furiosa, grazie ad una galoppata terrificante che raggiunge il suo apice sulle urla di Matt Heafy che sbraita indemoniato: “The stars have died and the heavens go up in flames” prima di rallentare in un clamoroso breakdown ed un assolo intenso che chiude le ostilità. Canzone scritta e arrangiata in modo complesso che mette in mostra la straordinaria tecnica di ogni musicista, specie di Alex Bent che con i suoi improvvisi blast-beat spacca letteralmente l’andamento del brano. Entusiasmante! La schizofrenica “Like A Sword Over Damocles” ha il pugno vincente, quello del KO, ed è la traccia di spicco in un album pieno di assoluta qualità. Al suo interno ci sono elementi di tutto ciò che sin qui ha reso grande i Trivium. Un brano melodico e progressivo di spaventosa efficacia dotato di un ritornello che non si dimentica facilmente. Alternanza tra sezioni più estreme e lezioni di thrash moderno, assoli dal suono furioso. È tutto qui! Premerete il pulsante repeat, più e più volte. Il singolo pubblicato prima dell’uscita dell’album è “Feast of Fire”, colmo di riff penetranti, gode di una linea di basso incredibile e un ritornello super orecchiabile. “A Crisis of Revelation” è una traccia aggressiva che ti schiaffeggia con un frenetico pattern di batteria che lascia posto alla voce ruvida di Heafy, interrotta da un ritornello vocale pulito e un altro vigoroso assolo di chitarra.

“Shadow of the Abbatoir” vanta una sensazione completamente diversa con un’apertura arpeggiata, lenta e malinconica che precede un ritornello leggermente più vivace, ma che si carica in un crescendo pieno di disagio in puro stile Machine Head dei bei tempi che furono. Segue un invito al banchetto alla festa del Thrash Metal con un assalto all’arma bianca che non fa prigionieri. Essendo uno dei tre brani che durano oltre 7 minuti, il massacro perdura a lungo con molta soddisfazione del vostro recensore. “No Way Back Just Through” è un altro highlight del disco, con un ritornello di quelli da cantare a memoria ai concerti, che si ripete avanti e indietro per tutta la durata della canzone. Brano decisamente memorabile, specie nell’incredibile accelerazione che poi deflagra in una breve sezione di assoli di chitarra spettacolari e qualche bella orchestrazione in aggiunta all’epicità richiesta da questa speciale composizione. A sua volta “Fall Into Your Hands” è un’altra traccia che cade nell’arco dei 7 minuti di durata, ed è un vero e proprio uragano di suoni multifunzionali. È veloce, è pesante, a tratti può cullarti con un falso senso di dolcezza (solo) apparente, ma la calma dura poco! La ripartizione del brano è 100% in stile Trivium e contiene, ancora una volta, un’altra serie di assoli di chitarra roventi. “From Dawn To Decadence” ha anch’essa un inizio decisamente docile che induce a pensare che questa sia una canzone più ‘morbida’ in confronto al resto del materiale sinora ascoltato. Poi la voce di Matt inizia a ruggire, accompagnata da tamburi tuonanti e sai di essere stato nuovamente ingannato dalla band. Siamo pronti a affrontare un vortice degno di un mosh pit di alto livello con qualche passaggio dal forte sapore black metal. “The Phalanx” giunge a completare l’opera. Ecco un’altra magnifica opera lunga 7 minuti con alternanza tra voci pulite e ruvide, batteria e chitarre magistrali dotata di scrittura e arrangiamenti squisiti.

L’ascolto di questi 52 minuti è giunto al termine. Resta il fatto che ci troviamo davanti ad un disco molto aggressivo, forse uno dei più veloci e pesanti ascoltati negli ultimi periodi. Il male di tutta la società globale ormai sgretolata, viene a galla nelle immagini metaforiche post-apocalittiche create dal suono dei Trivium ed è veramente tangibile in queste note. Farà il suo bell’effetto liberatorio! “In The Court OF The Dragon” è infettivo, contagioso e cresce, rafforzandosi ascolto dopo ascolto, come un tumore maligno. Un disco che, come detto, mantiene inalterata l’ispirazione del Thrash Metal vecchia scuola (il linguaggio di Metallica, Testament e Slayer è sparso ovunque qui) ma stando al passo con l’evoluzione che questo genere ha subito nel corso del tempo (vedi anche i Sylosis) unitamente ad un tocco personale che ha sempre reso identificabili i ragazzi americani dopo solo quattro accordi e mezzo stacco! Seriamente, penso che qui si parli di una band tra le migliori uscite negli anni 2000 e che potrebbe anche e finalmente meritare l’etichetta di BIG visto l’enorme potenziale già scorto in passato sia su ‘’Ascendancy’’ (2006) che su ‘’Shogun’’ (2008), i loro lavori migliori. Nel 2021 i Trivium non necessitano di nessun tipo di rivalutazione, no, per niente. Vanno solo inquadrati e accettati senza pregiudizi e non solo indicati da molti come capi espiatori di un genere che ormai va di moda odiare come il vituperato metal-core. Un genere che, nonostante lo si neghi sempre, abbiamo tutti e per anni ascoltato. Pregiudizi e malafede imperversano ovunque in questi periodi in cui, specie sui social, si è soliti aizzare lo sdegno verso qualcuno o qualcosa che ci sta dannatamente antipatico. Ma questo, lo ripetiamo, non è il caso dei Trivium!
Il disco, poi, parla da solo…
Al momento ‘’In The Court Of The Dragon’’ è una delle uscite più convincenti del 2021, nonché la somma di tutto il meglio della discografia della band. Colpo da maestri!

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