Recensione: In the Darkness [Reissue 2013]
Adriano “So Dark” Bosone, guru di tutto quanto faceva estremo ma non solo a metà degli anni Ottanta in quel della redazione del magazine Rockerilla, all’interno delle colonne del numero 74 dell’ottobre 1986, riguardo In the Darkness del Paul Chain Violet Theatre, scriveva quanto segue.
A più di un anno di distanza dal debut EP «Detaching from Satan», esce per la Minotauro di Pavia un intero 33 giri del gruppo pesarese creato e condotto da Paul Chain. Se parecchi avvenimenti sono intercorsi tra le due incisioni su vinile, come ad esempio il matrimonio del nostro Chain con Laura Christ, fanciulla che compare in questo album, perfettamente in linea con il look della band, non sono però mutate le direttive fondamentali, a cominciare dalla lugubre copertina di quest’album giocata esclusivamente sui colori nero e viola, particolarmente cari a P.C.
Essenzialmente il 33 giri sembra dividersi in due parti distinte, ed anche in questo particolare rientra nella filosofia polimorfa del Violet Theatre: «II continuo mutare della mia androgina personalità — afferma P.C. — mi costringe a dividere lo stesso concetto in diversi settori e formazioni musicali». La Side 1 contiene quattro brani dalla struttura decisamente lugubre e dalle cadenza ossessivamente mortifere: a cominciare dall’allucinante «Welcome to my hell» per finire con la psicotica «Crazy», si respirano atmosfere forse eccessivamente pesanti anche per i cultori del genere «Dark», condotte dalla voce inquieta ed inquietante di P.C. Discorso ben diverso per la Side 2, dove compare un approccio musicale più ritmato e godibile, ottimamente supportato dai due drummer della band: Eric Lumen e Thomas Hand Chaste e dai bassisti Claud Galley e Paul Dark.
La voce sibilante e corrotta del sempre amato Sanctis Ghoram conferisce alle composizioni quella strana malia che, mista all’estro funereo di P.C., hanno reso i Death SS prima, poi il P.C.V.T. la più famosa e amata dark cult band italiana.
«Il concetto principale su cui è impostato il Violet Theatre — dice ancora P.C. — è l’antica filosofia della morte di cui io sono da sempre più o meno inconsciamente un cultore fedele».
«In the darkness» ha scritto un’altra pagina sul grande libro del Dark Sound… naturalmente con inchiostro viola e nero.
Essendo In the Darkness fuori produzione dal 1994, anno della sua riproposizione primigenia su Cd, Marco Melzi della Minotauro ha pensato di ristampare l’album sotto forma di simil-mini Lp: sempre su dischetto ottico, in poche parole esattamente come fatto per il predecessore Detaching form Satan, recentemente recensito sempre su questi schermi. Per quanto attiene il packaging, la reissue targata Markuee si presenta con l’azzeccata costina scorrevole “che fa tanto vinile” una volta riposto nella rastrelliera, poi foglio 23,5 cm x 23,5 cm con la foto della band e di tutto l’entourage del Paul Chain Violet Theatre (Paul Dark, Claud Galley, Milena Lanciaprima, Sanctis Ghoram, Eric Lumen, Thomas Hand Chaste, Paul Chain e Laura Christ) in una stanza vuota adornata di un solo crocefisso, un paio di teschi, una testa di manichino mozzata e un candelabro; sul retro dello stesso una serie impressionante di special thanks. Per finire, la confezione di In the Darkness, oltre all’alloggiamento fisico del dischetto ottico costituito da un cellophane dal lato arrotondato, fornisce un’ulteriore custodia singola in cartone con le scritte viola su nero riportanti tutti i pezzi, i vari artisti coinvolti nell’esecuzione e l’anno di stesura.
Riguardo la musica contenuta in questo caposaldo del rock italico impossibile non sottolineare l’interpretazione vocale di Paul Chain in Welcome to my Hell, risalente al 1978, tanto malata da ricordare, idealmente e a tratti, un grande vocalist del proibito come Jim Morrison; sia chiaro, NON dopo una settimana ad acqua minerale, footing alle sei del mattino e nanna alle 21…
Meat mette in mostra l’accezione melodica del Dark sound dell’uomo venuto da Pesaro, con la Sua chitarra che si dimena in sottofondo. Il fatto che Chain non si sforzi di risultare particolarmente intonato conferisce al brano quel tasso in più di sinistro che vale oro in un disco come In the Darkness.
Un classico scroscio di pioggia non poteva di certo mancare, così come il suono di un organo da brivido. Il pezzo in esame è War, terzo brano del lotto, probabilmente il più affascinante dell’album, grazie alla forte connotazione gotica della quale gode. Non da meno un lamentoso Chain, la cui timbrica pare giungere direttamente dalla cripta più umida e lontana… altro che quelle colonne sonore horror dozzinali scritte a tavolino apparse in film di prim’ordine a livello di botteghino.
La vivace Crazy fa il verso all’Ozzy solista dei primi dischi e si arriva alla side 2, con Grey Life, canzone che gode di riffoni di classica marca Paul Chain; la voce maligna e tremula di Sanctis Ghoram, addirittura più catacombale di quella dello tesso Chain, appioppa al brano quel quid di oscurità in più. La bella Milena Lanciaprima si occupa delle – invero poche – parti di violino.
Woman and Knife del 1985, sempre con Piero Gori alla voce, si incanala anch’essa nelle pulsioni HM di quegli anni, mentre Mortuary Hearse, da buon carro funebre, passa alla storia per il finale da urlo – o meglio ancora da ululato – a opera dell’organo suonato da Chain. Alla voce ancora Ghoram. La title track, del 1979, è letteralmente un incubo tradotto in note sulla scia dell’imprescindibile lezione del Dark’N’Doom inglese dei Seventies, senza ombra di dubbio a segnare uno dei picchi dell’intero disco: grandi fendenti da parte della sei corde e grande bridge, il tutto supportato da un’interpretazione al limite della pazzia da parte di Chain, fra urla demoniache e sussurri da brividi lungo la schiena, a suggellare un viaggio dannato dalle tinte nere con striature viola lungo quarantacinque minuti abbondanti. Ultima nota generale riguardate l’album: come scritto pari-pari a chiare lettere all’interno, “la lingua cantata non è inglese, non esiste!”.
In the Darkness, oltre a costituire una milestone per la musica dura italiana, rappresenta il capitolo discografico centrale e probabilmente anche il migliore della carriera del Paul Chain Violet Theatre, che si chiuderà, quantomeno a livello di release, con il meno incisivo Opera 4Th, appena l’anno successivo, ossia il 1987, fra i rimpianti di molti.
Stefano “Steven Rich” Ricetti
Sito Minotauro: http://www.markuee.com/