Recensione: In The Days Of Whore

Di Alessandro Rinaldi - 19 Giugno 2021 - 15:42
In The Days Of Whore
Band: Zaratus
Etichetta: Van Records
Genere: Avantgarde 
Anno: 2021
Nazione:
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77

Album d’esordio per il duo ellenico composto da Stefan Necroabyssious (voce) e Bill Zobolas (polistrumentista), già noti al grande pubblico: il primo per aver militato nei Varathron, Katavasia e Funeral Storm; il secondo nei Diavolos, Soulskinner e Thou Art Lord.

La copertina del disco è davvero molto bella, e non potrebbe essere altrimenti: si tratta di un quadro del pittore polacco Henryk Siemiradzki, “Christian Dirce”, la cui protagonista è proprio una figura della mitologia greca, Dirce, che, a causa dei maltrattamenti a cui sottopose la nipote Antiope, fu condannata ad essere legata ad un toro che, trascinandola via, la uccise.

L’elemento femminile, soggetto del quadro, è la colonna portante dell’album, che ruota attorno alla stregoneria precristiana, in altre parole il culto dell’antica religione pagana. Musicalmente, siamo di fronte ad un grande album, dalle numerose sfaccettature, un apprezzabile tentativo di inserire il black metal greco nella modernità, tenendo fede a quelle che sono le sue peculiarità: l’uso sonorità antiche che richiamano il glorioso passato della Grecia e il grande background culturale di questa meravigliosa terra, ricca di storia, miti e leggende, e gli Zaratus non sfuggono a questa regola aurea.

Ceremonies Before Light’s Existence ha il compito di introdurci in questo viaggio: un mix di sintetizzatori, chitarre dissonanti ed un cantato cavernoso, che giostrano su uno sfondo black metal. Darkness And Decay è, potenzialmente, un pregevole pezzo di grande impatto live, che riporta i nostri su un timbro più consono al classico black metal, con un notevole intermezzo centrale: un arpeggio di chitarra suffragato da cori epici, in crescendo pronto ad esplodere. La titletrack è una bellissima canzone in cui spicca l’avvolgente growl di Necroabyssious: musicalmente è un brano oscuro che viene intervallato da ponti heavy. The Haunted Palace nasce sotto una buona stella: si tratta di una poesia del 1839 del grande maestro Edgar Allan Poe. E’ un pezzo sperimentale, che apre con una nenia di archi (violoncello) e percorre il sentiero dell’oscurità; ha un’anima classica, e non strettamente black metal, nelle sonorità: è come se il testo animasse la canzone. Chaos And Blood è caratterizzata da toni sono diabolicamente visionari e sembra di ondeggiare nel buio. Heritage Of Fire riprende suoni più consone al black, tuttavia si tratta di un brano senza tanti fronzoli, che ruota attorno ad un potente quanto apprezzabile riff, per sette minuti. Melodie orientaleggianti (e non potrebbe essere altrimenti) aprono Zoroastrian Priests: il cantato di Necroabyssious, riesce a creare un terrificante (in senso buono) effetto, il brano si evolve cavalcando una potente oscurità e ricorrendo a quell’espediente musicale che caratterizza In The Days Of Whore; ovvero la dissonanza tra strumenti, che crea, in chi l’ascolta, una forte sensazione di tetra oppressione.

Gli autori di un album che ruota attorno alla stregoneria dovrebbero conoscere l’importanza della forza delle parole e dell’importanza che hanno nello sviluppo di un brano: già, perché se proprio dobbiamo trovare una falla in questo lavoro, è proprio nei suoi testi, non molto convincenti e che attingono a piene mani ad alcuni luoghi comuni dell’esoterismo. Non è un caso che il momento più alto del disco, sia The Haunted Palace, scritto da un certo Edgar Allan Poe.

Deliziosa specialità greca.

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