Recensione: In The Name Of God
Gli Screaming Shadows sono una formazione italiana di indubbio talento che tra gli addetti ai lavori ha già raccolto diversi consensi. Dopo un paio di demo, un esordio più che positivo intitolato Behind The Mask, ed aver accompagnato i Labyrinth nel tour del 2003, i sardi sono pronti per dare alla luce il secondo disco. La loro proposta musicale la si può catalogare senza troppe difficoltà in un heavy metal classico ed immediato. Il chitarrista Marras si carica per gran parte del disco il peso di un songwriting tutto sommato lodevole e molto positivo. Tra i punti favorevoli del lavoro si deve citare l’ugola davvero portentosa di Luigi Usai dotato di potenza ed un’estensione vocale certo non comune (sentire il finale di Screaming Shadows) e sono molto riusciti i duetti di chitarra tra Giribaldi e il già citato Marras.
Emergere in un genere come l’heavy metal classico non è certo compito facile. Questo prodotto è suonato con grande forza, buona tecnica, prodotto dignitosamente (il sound della sezione ritmica è lungi dall’essere impeccabile) e si lascia ascoltare con grande piacere per chi apprezza queste sonorità. Se tutto l’album si fosse mantenuto sugli standard qualitativi dell’opener Where Reings The Sword avrei accolto il disco in termini entusiastici in quanto i sardi nella suddetta traccia regalano 5 minuti di puro godimento sonoro per un up tempo trascinante in ogni sua fase (strofe, bridge, chorus e break). Nella tracklist ci sono momenti più cadenzati come la title track e Screaming Shadows cui segue la virtuosa (ottimo lavoro di chitarra) Damned Ship. La suite Broken Promises si divide in due parti: nella prima dominano atmosfere più intime e dalle tinte prog che, invece, si perdono nella seconda più incalzante, arcigna e mutevole. Si torna a correre ed Holy Grail colpisce con ottime melodie studiate, strofe cantate con disarmante precisione da Luigi, che si incastrano perfettamente in refrain e riff accattivanti e potenti. L’album si chiude con la cavalcata Open The Doors la quale in 9 minuti spazia e cambia ritmo continuamente.
Questa band ha tutte le carte in regola per avere un buon successo nell’immediato futuro. Cosa manca a In The Name Of God? Una produzione migliore, un songwriting più omogeneo (ci sono troppe differenze tra The Shit Are Everywhere e Where The Reigns The Sword per fare un esempio) e una minore durata delle canzoni. I nostri hanno qualità tecniche e non hanno paura nel cercare di spaziare nelle loro composizioni ma non sempre i risultati sono sorprendentemente felici come nel caso dell’opener e della seconda parte di Broken Promises. Ciò non toglie che In The Name Of God sia un cd discreto per una formazione davvero interessante e promettente che meriterebbe l’interessamento da parte una label importante che la possa far crescere al meglio.
Top Songs: Where Reigns The Sword, Broken Promises II, The Holy Grail
Skip Song: The Shits Are Everywhere.
Tracklist:
1. Where Reigns The Sword
2. In The Name Of God
3. Screaming Shadows
4. Damned Ship
5. Broken Promises (Part. I)
6. Broken Promises (Part. II)
7. The Holy Grail
8. The Shits Are Everywhere
9. Open The Doors
10. The Holy Grail (Piano reprise)