Recensione: In The Name Of Metal
I Bloodbound arrivano dalla Svezia e questo In The Name of Metal, registrato negli studios di Tomas Ollson, nella duplice veste di chitarrista e produttore, rappresenta già la loro quinta release in sei anni di attività. Nonostante la prolificità e la competenza della band scandinava ho sempre nutrito una certe perplessità nei confronti della loro mancanza di personalità. Se infatti può essere positivo cambiare indirizzo (sempre negli ambiti metallici, naturalmente), non può che deporre a loro sfavore il fatto che sembrino clonare di volta in volta gruppi diversi. E se ai tempi del loro esordio fui il primo ad applaudire di fronte a quella sorta di magnifico tributo ai Maiden, nei lavori successivi il mio entusiasmo è andato scemando.
Già dai titoli mi era chiaro che questa volta sarebbe stato il turno di clonare i Manowar. Avevo ragione per metà: l’altra era invece la copia dei Dream Evil. La title track è un’ottima opener: rocciosa e graffiante con un ritornello che entra in testa da subito. Ho notato anche un netto miglioramento nello stile di Patrik “Pata” Johansson che pur non arrivando ai livelli di Urban Breed, si lascia apprezzare. When Demons Collide torna su territori più power metal: gradevole, ma abbastanza anonima.
Bonebreaker ricalca lo stile del brano precedente e non basta un cantato convincente per renderlo memorabile. Siamo arrivati al terzo pezzo e già comincio a convincermi che ci troviamo di fronte all’ennesimo disco da sottofondo: ottimo per quando si sta facendo tutt’altro. Ecco che alla quarta traccia le mie antenne tornano a vibrare con una smetallarata in puro stile Manowar. Sto parlando di Metalheads Unite, per quanto sia un pezzo fotocopia dei maestri del metal epico risulta ben riuscito con il suo andare cadenzato e il ritornello da stadio. Torniamo a regime con la successiva Son Of Babylon, comunque energica abbastanza da mantenere alto il livello d’attenzione dell’ascoltatore.
Mr. Darkness è la classica filler, ben suonata, ma poco di più. I’m Evil la supera in qualità, ma non abbastanza da farmi dimenticare questo clima di genericità che si respira nel corso dell’album. Monstermind sembra scopiazzata dagli Accept nella strofa, mentre il ritornello mi ricorda un’altra decina di canzoni… di cui qualcuna degli stessi Bloodbound. L’effetto finale è almeno decente. Si torna a premere sull’acceleratore con King Of Fallen Grace, buon pezzo power in cui ancora una volta è la prova vocale a fare la differenza. Black Devil è invece uno dei brani più rockeggianti del lotto, anche in questo caso non si può dire che sia una brutta canzone… ma ricorda sempre altro.
Bounded By Blood è forse l’episodio migliore di tutta la seconda parte. La band riporta alla ribalta il sound che l’ha caratterizzata nel primo lavoro, creando una buona melodia che lascia il segno. Chiude l’album il rifacimento di Book Of The Dead. Onestamente non credo che il pezzo avesse bisogno di essere registrato di nuovo, ma aumenta di sicuro la qualità media del dischetto.
I Bloodbound sono tornati. Come dicevo all’inizio, resto sempre più perplesso di fronte alle loro release. Di certo è un lavoro che potrà piacere ai fan di bocca buona, ma se state cercando qualcosa di più di un disco medio, vi consiglierei di dirigere altrove i vostri risparmi.
Mauro Saracino
Tracklist:
1. In the Name of Metal
2. When Demons Collide
3. Bonebreaker
4. Metalheads Unite
5. Son of Babylon
6. Mr. Darkness
7. I’m Evil
8. Monstermind
9. King of Fallen Grace
10. Black Devil
11. Bounded by Blood
12. Book of the Dead (2012 Version)
Formazione:
Patrik “Pata” Johansson – voce
Pelle Åkerlind – batteria
Tomas Olsson – chitarra
Henrik Olsson – chitarra
Anders Broman – basso
Fredrik Bergh – tastiera
durata 45 min circa