Recensione: In The Shadow Of The Inverted Cross
Sorcerer…verrebbe da dire chi?! Chi è che sono?!
Sono una band appartenente a quel genere oscuro, snobbato da molti, chiamato doom.
Ora, questo “In the shadow Of The Inverted Cross” non è che abbia tutte le caratteristiche tipiche per essere chiamato doom, ma sulla copertina campeggia una gigantesca etichetta (da leggere tutta in un fiato perché senza punteggiatura) classical epic doom metal legend from Sweden…ok confido in quella scritta…beh, insomma…ho sempre sentito parlare di death-doom, funeral-doom, black-doom, ma mai di EPIC-doom, che ignorante!
Quindi, se vi fidate, continuate pure, in caso contrario potete tranquillamente passare ad altro (tsè…sta qua non sa nemmeno cosa sia l’epic-doom – ndr).
I Sorcerer si formano in Svezia nel 1988 ma scompaiono dalle scene nel 1995, dopo la pubblicazione di due demo.
Nel 2010 vengono chiamati per partecipare all’Hammer Of Doom Festival ed in quella occasione decidono di riassemblare la band, fino ad arrivare al 2015 con la pubblicazione di questo debut-album.
Ma torniamo a parlare di doom, pàrdon, epic-doom.
Sebbene l’ambientazione sia certamente quella tipica, quindi sonorità lente, cadenzate e tetre, la voce di Anders Engberg (ex-Lion’s Share, ex-Twilight), talvolta si discosta un po’ dagli standard prefissati. Analogo discorso va fatto per la chitarra di Kristian Niemann (ex-Therion), che in alcuni momenti rispecchia verosimilmente lo stile malmsteeniano, per il basso di Johnny Hagel (ex-Tiamat) e per la batteria di Robert Ivernes, alle volte tirata ed a tratti martellante.
In sostanza, questo uscire dai soliti cliché, riesce a rendere i pezzi più diretti e fruibili, anche per chi non è avvezzo a questo genere.
Vero che l’artwork non rimanda a quanto detto in precedenza, visto il grigiore dell’ambientazione e gli alberi spogli con tanto di volo di corvi, ma fidatevi, vi ricrederete in tutte ed otto le tracce del disco.
I Sorcerer fanno capire subito le loro intenzioni già dal primo brano, “The Dark Tower Of The Sorcerer”, dove un riff portante si fonde con la voce suggestiva del singer.
Molta importanza viene data ai chorus, che non risultano mai stucchevoli perché studiati per essere condensati in poche, ma significative, battute.
Lasciamo per un attimo da parte le sonorità medio-lente per avvicinarci a “Sumerian Script” che fa l’occhiolino ai primi album dell’era Ronnie James Dio.
La successiva “Lake Of The Lost Souls”, secondo chi vi scrive è quella meno avvincente dell’intero platter, perché risulta essere un po’ troppo prolissa e ridondante, soprattutto nel refrain, ma ci si riprende immediatamente con “Exorcise The Demon”, grazie anche ai continui cambi di tempo e agli aggressivi botta e risposta tra voce e cori.
La title-track e la seguente “Prayers For A King”, ci riconducono ai suoni principali del doom, nonché a quelli usati nella traccia di apertura.
A chiudere l’album ci pensano “The Gates Of Hell” con il suo ritmo intenso ed incalzante e la lenta e drammatica “Pagan Dance”.
La produzione è buona e presenta un corretto equilibrio tra strumenti e voce, anche se il basso viene lasciato in secondo piano rispetto al resto, a scapito di una rotondità complessiva.
Per concludere, dopo aver ascoltato questo “In The Shadow Of The Inverted Cross”, ci si rende conto di quanto si abbia perso in tutto questo tempo.
Non ci resta che attendere un nuovo disco e perché no ancora migliore, nella speranza che non si debba aspettare per altri ventisette anni.
Nadia “Spugna” Giordano