Recensione: In the Twilight Grey
I Necrophobic sono una certezza nel panorama metal scandinavo, e proprio negli ultimi anni hanno saputo reinventarsi. Sicuramente siamo lontani dai fasti di The Nocturnal Silence, ma quella era un’altra epoca, in cui la forza primordiale del metal più estremo generò un forte sisma, il cui epicentro era nella penisola scandinava, propagandosi in tutto il resto del mondo.
Dopo quei gloriosi anni, i Necrophobic hanno vissuto un periodo oscuro, artisticamente parlando, fino a The mark of the necrogram, album che segna la rinascita dei nostri con una ventata di novità nello stile, suoni più puliti, a volte quasi tendenti all’heavy e che ha avuto il marito di preparare i fans a Dawn of the Damned, che rappresenta la decisa affermazione di questa idea, la migliora, e la rende più compatta.
Dopo quattro anni, la band svedese si ripresenta con il loro decimo album in studio, con The Twilight Grey, il cui artwork, opera di Jens Ryden, è molto cupo e foriero di quel che andremo ad ascoltare: la figura centrale ricorda la Morte, con in una mano brandisce la stessa bandiera che la band sfoggia durante le foto promozionali, e nell’altra una lunga catena, alla cui estremità è collegata una clessidra. Rispetto al precedente lavoro, va registrato l’ingresso nella band, al basso, di Tobias Cristiansson; confermatissimo il fedele Fredrik Folkare alla produzione. In the twilight grey, lo preannunciamo, è la prosecuzione degna del precedente lavoro, quasi a concludere una potenziale quanto non dichiarata trilogia iniziata nel 2018. Lo schema è piuttosto chiaro: il cuore nero del loro passato anima le loro canzoni, che ruotano attorno degli riff molto orecchiabili; basti pensare all’intro del singolo As stars collide e agli assoli coinvolgenti, con ritornelli piuttosto forti, empatici ed evocativi. Rispetto a Dawn of the Damned, abbiamo una maggiore ruvidezza, basti pensare a brani come Stormcrow, violenta ed esplosiva, o Clavis inferni, veloce e graffiante, che, in ogni caso, si evolvono sempre in una cornice armonicamente melodiosa. In ogni caso, il vero protagonista resta il grande burattinaio, ovvero Sebastian Ramstedt, che ha una ricchissima esperienza musicale, messa al servizio della band: la composizione è creativa ed omogenea, ma manca di qualcosa per elevare In the twilight grey agli standard dei dischi degli ultimi anni.
Una nota doverosa per gli amanti dei Necrophobic: esiste una versione deluxe del disco, che contiene due brani aggiuntivi, Blackened The Horizon, un’avvincente pezzo che strizza l’occhio al groove metal tra i ringhi di Anders Strokirk, e The Torture Never Stops, cover degli W.A.S.P.