Recensione: Incinerate All
Se c’è una fusione assai generalizzata che interessa due generi estremi del metal è quella fra thrash e death, sì da dar luogo al sostantivo thrash/death che, per definizione, non può esistere. O è thrash, o è death. Non si possono confondere e mischiare a caso stilemi e dettami derivanti dall’esperienza che, proprio, durante gli anni hanno concorso a stabilire, seppur non matematicamente, cosa sia thrash e cosa sia death.
La fusione suddetta, tuttavia, – come in ogni forma d’arte – è normale che esista, ma ad essa occorre sempre fornire il nome corretto: thrash o death, per l’appunto. Nel caso degli svedesi Dethrone, death. Che, se poi contaminato a tal punto dal thrash e dalle sfumature *.core da addivenire quasi deathcore, si mantengono accuratamente dalla parte del versante death.
Alla fine, il bisticcio sopra riportato fra thrash e death mostra da sé che non si giunge mai a una conclusione decente, indicando come stile thrash/death. Meglio, allora, partire da uno dei due e tentare di azzeccarne la ramificazione inferiore che, nel caso dei Nostri, ben si presta a essere descritta non a caso come deathcore.
Un elemento forte di “Incinerate All”, già secondo full-length del combo di Värnamo successivamente a “Humanity” del 2013, sono le harsh vocals di Mattias Vestlund, guarda caso perfettamente adeguate ai discendenti di Heaven Shall Burn, Neaera, Whitechapel et similia. A ciò, inoltre, va aggiunto il furibondo drumming di Simon Lundh, assai rapido e veemente, capace di sfondare con facilità e pulizia la barriera dei blast-beats. Più orientate verso il thrash, invece, le chitarre David Hartikainen e Jonas Carlsson, devastanti segaossa produttrici di riff imperiosi come quello ribaltante di “The Plague Carrier” e parimenti come quello che si risolve in una tremenda mazzata sui denti nel corso di “Failure” o della tremenda “The Inevitable End”.
Tuttavia, è con “Spiritual Deception” che si riesce a individuare correttamente la tinta dell’anima dei Dethrone. Incipit devastante, strofa arrembante e vagamente melodica, che diventa marcatamente, melodica, in occasione del refrain. Blast-beats a ondate, sound possente e acuminato sono altre caratteristiche che conducono definitivamente “Incinerate All” nel territorio del deathcore. Con un percorso, occorre rimarcarlo, ove il quintetto scandinavo mostra personalità, certezza dei propri mezzi, adeguatezza tecnica e, ultimo ma non ultimo, un pizzico di originalità che nobilita, anche, un discreto talento compositivo.
Certamente “Incinerate All” non sarà il disco del secolo, tantomeno di questo decennio, tuttavia ha il pregio di lasciar intravedere che al circolo polare artico ci sono nuove band in grado di proporre qualcosa di diverso dalla solita minestra. Soprattutto in coda a un periodo di fecondità musicale ridotta, in quelle terre, per gli stili qui trattati.
Si riparte?
Daniele D’Adamo