Recensione: Individual Thought Patterns
Disumano.
E’ la prima cosa che viene in mente dopo aver conosciuto in ogni minimo dettaglio “Individual Thought Patterns”. Infatti bisogna conoscerlo davvero fino in fondo per poterlo capire ed apprezzare. Forse il disco dei Death più complesso ed articolato, in grado di generare suoni imprevedibili e multiformi che si trasformano repintinamente in un vorticoso susseguirsi di cambi di tempo, vera peculiarità del disco.
Esce nel 1993 a cavallo di due album estremamente differenti e significativi come possono essere “Human” e “Symbolic”.
Il primo molto sperimentale, in grado di giungere con le sue sonorità innovative su lidi musicali mai esplorati, il secondo invece molto più lineare nella sua grandezza, ricco di canzoni bellissime come “Symbolic”, “Zero Tolerance” o “Sacred Serenity”, in grado di partorire quelle emozioni che difficilmente una canzone riesce a darti.
“Individual Thought Patterns” riprende ed amplifica la complessità che caratterizza il primo e le melodie magnetiche del secondo.
I compagni di avventura di Chuck anche in questa occasione si sono rivelati essere grandi musicisti della scena metal: alla seconda chitarra il fulminante Andy La Roque, dietro le pelli il possente e vulcanico Gene Hoglan, uno che sa decisamente picchiare con grande maestria, mentre con la sua pulsata irrazionale e geniale al basso c’è Steve Di Giorgio.
“Individual Thought Patterns” è un album di difficile assimilazione e per entrare nelle sue melodie e nei suoi riff bisogna ascoltarlo per numerose volte e con grande attenzione.
Le liriche di Chuck continuano ad essere incentrate su argomenti con un forte sfondo filosofico molto ricercate e complesse, si riallacciano a temi già precedentemente trattati nella produzione passata dei Death.
Il destino viene nuovamente tirato in ballo con la sua imprevedibilità, in grado di piegare chiunque al proprio volere. L’impossibilità di opporsi al destino viene trattata proprio nella canzone “Destiny”.
“I know there is no way to avoid the pain that we must go through,
to find the other half that is true.
Destiny is what we all seek.
Destiny was waiting for you and me”
“Io so che non c’è modo di evitare il dolore e che dobbiamo affrontarlo
per trovare l’altra metà di questa verità.
Il Destino è ciò che noi tutti inseguiamo.
Il Destino sta aspettando me e te”
Altro tema centrale del disco è quello della singolarizzazione dell’individuo rispetto alle masse, ritrovare la propria persona tra un mare di individui ormai tutti uguali.
“Followers to the leader of mass hypnotic corruption
that live their lives only to criticize.
Where is the invisible line that we must draw
to create individual thought patterns”
“Seguaci dei leader della corruzione tramite ipnosi di massa
che vivono le loro vite solo per criticare
dov’è la linea invisibile che dobbiamo tracciare
per creare il nostro tracciato di pensiero individuale.”
Dal punto di vista prettamente musicale ogni canzone è qualcosa di unico ed irripetibile, strutture complesse, arrangiamenti intricati che si vanno via via slegando col trascorrere del brano.
Le parti ritmiche sono precise e compatte più violente in canzoni come “The Philosopher”, il basso ha un compito molto impegnativo; infatti Steve in più di un’occasione riesce sorprendere per la sua capacità di far suonare quel basso in maniera così piena e serrata.
Chuck descriveva quest’album così:
“This album means a lot to me and also surprised some people. It was extremely progressive and had catchy melodies. The line-up with Gene Hoglan and Steve DiGiorgio was an absolute killer. Our absolute “Fuck-Limits” cd!!! “
“Quest’album significa molto per me e sorprese molte persone. E’ molto progressive e ha melodie molto orecchiabili. La line-up con Gene Hoglan e Steve Di Giorgio era assolutamente distruttiva. Il nostro album più “Fuck-limits”
Le melodie dell’album sono molto orecchiabili ma non per questo banali, anzi tutt’altro.
L’album ha una durata complessiva di 39 minuti ripartiti in 10 tracce, le song al contrario di alcune produzioni dei Death sono molto meno dilatate e più concise.
Il viaggio inizia con “Overactive Immagination”, una canzone con una apertura compatta e veloce per poi trasformarsi in un mid-tempo mutevole in cui il growl di Chuck si intreccia in riff di chitarra secchi e precisi, il basso di Steve fa la differenza ancora una volta nella sezione ritmica.
“In Human Form”, se non fosse per la sua maggiore complessità a livello di ritmiche, seguirebbe pressapoco la struttura concisa della canzone precedente. Hoglan trascina il gruppo con un drumming veloce e preciso, imprevedibile almeno ad i primi ascolti per la sua grande capacità di battere più tempi diversi contemporaneamente!!!
“Jealousy” si apre con riff di chitarra apparentemente disposti casualmente per poi assumere contorni violenti con l’entrata del basso e della batteria molto più veloce e tirata.
Si corre in un folgorante up-tempo, chitarre che stridono per poi farsi più magnetiche e lasciare il posto a “Trapped in a corner” una delle canzoni più belle di tutta la discografia dei Death, intrecciata dinamica in cui le scale ascendenti di Chuck fanno la differenza e trovano la compiuta applicazione, i tempi sono più pacati ma non per questo meno aggressivi.
Su tempi molto pacati si orienta “Nothing is Everything” con un riff portante in contro-tempo che almeno durante i primi ascolti sarà indigesto alla maggior parte degli ascoltatori. I solo di chitarra sono sempre particolarmente complessi e modulati.
“Mentally blind” è forse invece la canzone più carica di atmosfera ed intensità veloce e potente, coniata con quel marchio più raffinato della produzione dei Death, a tratti commovente.
Un ritornello rallentato che poi riparte con il solo di Chuck.
Arriva poi la title-track, con tutta la sua irruenza, la doppia cassa suona rullate precise, nella parte centrale cambia totalmente tempo per alcuni secondi, poi riparte con il tema marziale dell’inizio.
“Destiny” inizia con quell’intimità profonda che mi ha fatto sempre apprezzare questo tipo di canzoni dei Death.
E’ un attimo perchè poi tempi più duri si susseguono, ma le melodie delle chitarre di Chuck ed Andy continuano a tessere riff ipnotici, che trascinano in una sorta di limbo l’ascoltatore.
“Out of touch” una canzone potente ed elettrica, veramente ben riuscita.
“The Philosopher” traccia conclusiva, è la mia preferita forse fra tutte le canzoni dei Death: apertura affidata alle ben note scale di Chuck, Hoglan non perde occasione di picchiare, Steve scivolando sulle corde crea suoni impensabili, Andy nel video suonava con una chitarra con la grafica di una bandiera italiana!!!!!!
Grandiosa nella sua brevità.
Al termine, dispiace quasi che il disco sia finito, e la voglia di farlo ripartire ancora una volta è sempre molto forte.
A mio parere il disco dei Death più complesso e sperimentale, difficile.
Unico ed insuperabile.
Efferato.
Francesco “madcap” Vitale
Overactive Imagination
In Human Form
Jealousy
Trapped In A Corner
Nothing Is Everything
Mentally Blind
Individual Thought Patterns
Destiny
Out Of Touch
The Philosopher