Recensione: Inferno
Nel Gennaio 1973 viene pubblicato per la prima volta un album che rappresenta una delle maggiori espressioni del rock progressivo italiano: si tratta di Inferno, il secondo album in studio del quartetto romano dei Metamorfosi. Nato nel 1970 dall’unione del cantante e flautista Davide “Jimmy” Spitaleri con i musicisti provenienti dalla band di matrice beat de I Frammenti, il gruppo romano incide due anni dopo, nella primavera del 1972 …e Fu Il Sesto Giorno per la casa discografica Vedette. I ragazzi che affiancano Spitaleri sono Enrico Olivieri (tastiera e voce), Roberto Turbitosi (basso e voce), Mario Natali (batteria) e Luciano Tamburro (chitarra).
In seguito all’uscita del disco di esordio, un cambiamento di formazione porta l’abbandono del gruppo da parte di Tamburro e di Natali, sostituiti dal batterista Gianluca Herygers, con cui i Metamorfosi iniziano a lavorare al loro secondo album, Inferno, il capitolo iniziale di un ambizioso progetto che intendeva trasformare in musica la Divina Commedia di Dante Alighieri. Il disco, stampato l’anno successivo sempre per la Vedette, consacra il gruppo e lo porta a fare alcuni importanti concerti, anche a fianco di alcuni “mostri sacri” della scena progressive italiana quali Raccomandata Con Ricevuta Di Ritorno, Garybaldi e Flea. Purtroppo questo periodo positivo ha una breve durata per il gruppo, schiacciato da un lato da un insieme di problemi di budget e personali dei suoi membri; dall’altro alienato dal nascente periodo dei cantautori, che portano le case discografiche a fare nuovi tipi di scelte per accontentare le richieste del pubblico, a discapito dei gruppi. Con la fine di questo periodo d’oro per la musica suonata dai complessi, molti gruppi si sciolgono e il quartetto romano subisce la stessa sorte.
Passano diversi anni ed è nel 1995 che Davide Spitaleri ed Enrico Olivieri decidono di riprendere in mano il progetto abbandonato ventidue anni prima, riformando i Metamorfosi e dedicandosi al compimento del capitolo successivo dell’opera lasciata incompleta, il Paradiso, che viene pubblicato nel 2004, affiancati con l’aiuto dei musicisti Leonardo Gallucci e Fabio Moresco. Si tratta di un disco sicuramente meno suggestivo di Inferno, ma che mantiene comunque quella classe compositiva con cui il gruppo si è fatto conoscere e apprezzare. Manca un’ultima parte all’appello, il Purgatorio, a cui il gruppo sta attualmente lavorando e verrà presto pubblicato.
L’inferno che i Metamorfosi mostrano porta la sua ricercatezza e la sua raffinatezza sin dalla sua copertina, in grado di stupire per il suo andare contro il senso comune: su uno sfondo che ritrae l’immagine di una distesa di ghiaccio che si estende a perdita d’occhio emergono, stilizzate e sofferenti delle sagome umane, chine, curve e deformi. I colori sono freddi, i corpi sono macchiati di bianco e di nero e riescono a trasmettere il senso di privazione e di debilitazione di un luogo che la conoscenza popolare raffigura con ben altri colori. Il lavoro è stato fatto dalla Gamma Film di Roberto Gavioli, utilizzando un’immagine di Adelchi.
Ascoltare questo album significa precipitare cullati dalla musica del quartetto romano nella voragine infernale Dantesca, dalla sua porta di ingresso fino al cospetto di Lucifero, il tutto reso terribilmente attuale dalla forza espressiva dei testi, che assegna i ruoli ai personaggi di questa parte di commedia più che attuali: ed è così che si parla di mafia, di droga, di corruzione tra spacciatori, razzisti e politicanti, tutti rigorosamente puniti secondo la regola del Contrappasso.
Un gong dal suono ovattato è il primo strumento che si incontra nella traccia di apertura, intitolata semplicemente Introduzione con cui, aiutato da un organo prima e da un clavicembalo poi, entra in scena la voce calda e sicura di Davide Spitaleri che, con accurate e brevi parole, recita quello che può essere interpretato come l’equivalente dantesco della “selva oscura”. Se in Dante infatti il traviamento e la corruzione dell’umanità è rappresentata simbolicamente da questa selva, nei Metamorfosi questo concetto ha la forma di rovine antiche e di fiori incolori, di un tempo passato che logora e rovina:
«Sulle rovine di antiche città
crescono fiori senza colore.
Alberi tristi tendono al cielo,
rami corrosi dal tempo.»
A dimostrazione di questo, la seconda parte della traccia di apertura porta il titolo di Selva Oscura ed è una lunga e piacevole divagazione strumentale a cui sono assegnati ruoli principali a tastiere e pianoforti, in grado di travolgere l’ascoltatore con il loro alternarsi: ora sognanti, con effetti che ricordano i sintetizzatori della PFM di Storia Di Un Minuto; ora concitati e veloci, con partiture che ricordano i Raccomandata Con Ricevuta Di Ritorno; ora solenni e riflessivi, conditi da lunghi assoli. Con il ritmo marziale della breve Porta Dell’Inferno e il cantato quasi mesto di Spitaleri ci si addentra con forti linee di organi attraverso il suo ingresso prima (“Lasciate ogni speranza/ o voi che entrate,/ anime dannate,/ al caldo e al gelo soffrirete!”) e si attraversa il fiume Acheronte, sulle cui rive si ammassano le anime che si ostinano a peccare, con l’aiuto del nocchiero Caronte, che dà il titolo alla quarta canzone dell’album.
Con Spacciatore di droga viene toccato uno dei punti più alti di questo disco, sia in termini musicali, grazie alle sue tinte decisamente heavy, su cui si inserisce una voce rabbiosa e aggressiva, sia dal punto di vista del testo, fortemente espressivo e rude. Il protagonista di questa canzone è uno spacciatore che personifica l’avidità, il movente che lo porta a causare male al prossimo, regalando finti sogni e finte illusioni. La seconda parte di questa traccia porta il titolo di Terremoto ed è fatta da virtuosismi strumentali con ancora una volta protagonisti gli strumenti a corda percossa, ricchi di inserti dal sentimento jazz e di un finale a sorpresa, invaso da suoni ampi e flautati e da atmosfere distese e rilassanti, come un momento di insperata quiete dopo un evento violento. L’ultima parte, Limbo, è formata da assoli di clavicembalo dai suoni taglienti e spigolosi, assemblati con sintetizzatori dall’animo inquieto.
Siamo nella zona dei primi cinque “cerchi” di coloro che Dante definisce “incontinenti”, ovvero coloro che sono incapaci di frenare le proprie pulsioni (lussuriosi, golosi, avari e prodighi, iracondi, superbi e accidiosi). È quindi il tempo di Lussuriosi, dove un gentile arpeggio di clavicembalo culla l’ascoltatore in un’atmosfera quasi distesa, delicata, in cui i protagonisti del brano sono una simbolica coppia di amanti, condannati alla dannazione eterna per i loro peccati, sebbene nel complesso i testi e la musica alleggeriscano in qualche modo questa colpa, rispetto per esempio allo spacciatore di droga. La sovrapposizione di diverse linee vocali assieme agli arpeggi di tastiera sono gli unici protagonisti della canzone, che svanisce lentamente tra lievi vocalizzi e si fonde con l’introduzione della successiva Avari. Qui il testo della canzone parla di una persona così affezionata al denaro da sostituirlo quasi in modo blasfemo a un dio, e lo fa su un’introduzione che ricorda per le sue sonorità alcune parti di tastiera della Premiata Forneria Marconi di Storia Di Un Minuto.
Superati i cerchi dei peccati commessi per incontinenza (I-V) e superato quello degli eretici (VI), si scende verso quello dedicato ai violenti (VII), ovvero coloro che per Dante hanno compiuto atti di aggressione contro il prossimo e le sue cose (girone I), contro di sé e le proprie cose (girone II) o contro dio e ciò che lo riguarda (girone III).
«Rosso scorre il sangue tra i sentieri dove è fragile la vita». Violenti, appunto, è il titolo della sesta traccia, brutale e cruda nelle sue parole, che parlano di un assassinio per tradimento (“Cadde colpito da due canne mozze/ perché ti aveva tradito”), narrato utilizzando raffinati dettagli che lasciano intuire che si tratta di un regolamento di conti di stampo mafioso (“Col sasso in bocca egli fu ritrovato/ dentro quel campo d’arance”). La parte principale dell’episodio è narrata utilizzando partiture musicali concitate e sincopate con grande uso di pianoforti e di sintetizzatori, che sorreggono parti vocali energiche e aggressive. Tutto si trasforma con il finale della canzone, silenzioso e ampio, dove i rintocchi di campana e le linee vocali sovrapposte accompagnano il funerale dell’assassinato, tra le lacrime della vedova (“Lenta una folla cammina/ seguendo un altare di morte./ Piange una donna che sola è rimasta/ a lottare in silenzio./ Nero è il velo sul volto/ che copre due lacrime di dolore”).
Con l’ottavo cerchio si entra nelle “malebolge”, un fosso profondo al cui centro si trova un pozzo; tra questi e la riva sono scavati dieci grandi fossati, le bolge, che hanno il compito di ospitare coloro che hanno fatto del male al prossimo approfittando della sua buona fede, dove ognuna è dedicata a un specifico tipo di frode. Con la traccia Malebolge si dà inizio a questa nuova parte del viaggio, con una voce che torna a essere rabbiosa e aggressiva e protagoniste sono ancora le linee di pianoforte e di tastiere, fuse con partiture ritmiche nervose e sincopate che fungono da preludio per la traccia successiva, Sfruttatori.
Si tratta di una canzone dal grande impatto emotivo, dall’introduzione scarna dal punto di vista strumentale, che affida tutta la sua grande voglia di comunicare alla voce di Spitaleri, rafforzata dall’entrata in scena di tutti gli strumenti e impreziosita da numerosi assoli. Il brano svanisce e riappare dal silenzio con un cambio di scena di grande impatto, dove un arpeggio di pianoforte emerge dal silenzio cullando delle linee vocali ora addolcite, per poi rituffarsi con violenza nelle soluzioni nervose iniziali. Come suggerisce il titolo, la protagonista della canzone è l’oppressione travestita da legge che agisce sotto mentite spoglie, un tema mai passato di moda affrontato con un linguaggio vivido e diretto (“con le mani del padrone/ hai sfruttato la mia gente./ Hai tagliato il loro grano/ con la falce della legge.”).
Razzisti è il brano successivo e parla dello sfruttamento degli schiavi neri nei campi di cotone, un’immagine più che conosciuta ma che può avere un significato più simbolico nel raccontare una situazione ancora attuale. La struttura ritmica del brano è cadenzata come cadenzato è il lavoro nei campi di cui parla, con una grande presenza di pianoforte e di batteria che tacciono improvvisamente e si trasformano nel suono ovattato e soffocato di un tamburo che scandisce un ritmo marziale. Si precipita così nella Fossa Dei Giganti, la seconda parte di questa traccia e preludio del capitolo conclusivo dell’album.
Lucifero, il percorso intrapreso finisce con l’immagine dell’angelo più bello che, ribellatosi a Dio, venne scaraventato giù dal cielo, si incastrò al centro della terra e fece il vuoto intorno a sé formando l’inferno. Nell’inferno dei Metamorfosi, nel punto più profondo e buio non c’è Lucifero, ma i politicanti; anzi, i politicanti stessi prendono il posto di Lucifero. La musica è solenne ed epica, sinfonica e grandiosa, le parole sono macigni che escono graffianti dalla voce di Spitaleri. («”Signori presidenti”/ con la vostra politica/ avete tessuto ogni inganno/ e tradito l’ideale dell’uomo»).
Il viaggio è finito. Ci si risveglia così da un sogno, dolcemente, con le tastiere di Conclusione che emergono a poco a poco dal silenzio e prendono possesso della scena, con un crescendo quieto, in netto contrasto con gli eventi tumultuosi e violenti appena vissuti. Ci si distoglie da questo formidabile scenario con il sollievo che sia tutto inventato, ma con l’amara consapevolezza di aver osservato la realtà da un altro punto di vista.
«…e fu così che noi tornammo a riveder le stelle»
Silvia “VentoGrigio” Graziola
La prima stampa in vinile di Inferno è particolarmente difficile da reperire e risale al 1973 sotto la casa discografica Vedette (VPA 8162) ed è stato ristampato nel 2005 dalla BTF/Vinyl Magic (VM 002 LP), entrambe le versioni con copertina apribile. Per quanto riguarda il CD, è stato ristampato per la prima volta su questo supporto nel 1989 dalla Vinyl Magic (VM 002), attualmente fuori catalogo, mentre una seconda stampa del 2007 da parte sempre della BTF/Vinyl Magic (VM 002) è attualmente reperibile.
Tracklist:
01. Introduzione
Selva oscura
02. Porta dell’inferno
03. Caronte
04. Spacciatore di droga
Terremoto
Limbo
05. Lussuriosi
06. Avari
07. Violenti
08. Malebolge
09. Sfruttatori
10. Razzisti
Fossa dei giganti
11. Lucifero (politicanti)
12. Conclusione
Lineup:
Jimmy Davide Spitaleri: voce solista, flauto
Enrico Olivieri: tastiere, voce
Roberto Turbitosi: basso,voce
Gianluca Herygers: batteria