Recensione: Inferno XXXIII
«La bocca sollevò dal fiero pasto
quel peccator, forbendola a’capelli
del capo ch’elli avea di retro guasto»
La celeberrima terzina che riguarda il conte Ugolino si trova nel XXXIII canto dell’Inferno della Divina Commedia, ove stazionano i traditori. Canto dantesco che è fonte d’ispirazione per “Inferno XXXIII”, quinto full-length in carriera degli Ulvedharr, il quale si basa, anche, sul concetto di vendetta.
Emozioni forti, dure, profonde, che fungono da linfa per la crescita di un album di death metal violentissimo. Gli Ulvedharr, difatti, non si risparmiano mettendo giù rabbia, ferocia, aggressività ai massimi livelli. Occorre sottolinearlo, il tutto con una tecnica esecutiva pressoché perfetta e una produzione dirompente, pure essa esente da difetti.
Un sound insomma tremendo, potente, travolgente che, tuttavia, lascia lo spazio per momenti acustici delineati da una morbide armonie (‘A Full Reload of Fear’,‘Oblivion’). A onore del vero, tali segmenti non sono poi tanti, poiché la band bergamasca pesta duro come un fabbro, materializzando un efferato attacco frontale tale da radere al suolo tutti e tutto.
Energia pura, che scorre a fiumi e che spinge la macchina-Ulvedharr ai limiti delle possibilità umane, aiutata dal belluino ricorrere alla furia dei blast-beats (‘Revenge Loop’). Anche in questo caso, tuttavia, non si tratta di una fattispecie che si verifica spesso. E questo perché il sound si sviluppa su una struttura ritmica assai vivace, caleidoscopica, non particolarmente complessa ma diretta come un pugno in faccia. Una struttura che predilige mid e up-tempo di estrazione thrash (‘Wasteland’) per essere il più pesanti possibile invece che rappresentare la dedizione alla ricerca di più esagerati BMP.
Tutto quanto per dare alla luce uno stile personale, tale da definire univocamente l’act nostrano. Operazione riuscita, a parere di chi scrive. Grazie, soprattutto, all’interpretazione dalle linee vocali di Ark Nattlig Ulv. Trattasi di growling stentoreo, cantato con il controllo totale dei polmoni. Un fattispecie comune, nell’ambito del death metal, ma che in questo caso si fa notare per il mantenimento del timbro vocale naturale, unico, che diversifica gli esseri umani (‘Their Game’).
Il riffing che, come già osservato, strizza l’occhiolino al thrash, è semplicemente mostruoso. Jack Draven e Magnus Frost costruiscono, accordo dopo accordo, un gigantesco muro di suono (‘The Edge’). Granitico, spesso, pesantissimo. Realizzato con una selva di riff induriti dalla tecnica del palm-muting, su di esso si trovano le tracce delle stilettare stilistiche, orientate verso la melodia e non la dissonanza per un risultato davvero piacevole da ascoltare. Antitesi fra la crudeltà della chitarra ritmica e la dolcezza di quella solista (‘Eternal Attack’).
Da regolarsi l’orologio grazie alla precisione della sezione ritmica, cui sono deputati Markus Ener al basso e Mike Bald alla batteria. Una precisione che fonda le sue basi su una notevole varietà di ritmi senza esagerare con il livello di difficoltà. Preso atto che, quando l’incedere si fa complicato, non ci sono problemi di sorta nel restare nell’ambito della perfezione, si può supporre che il combo di Clusone abbia preferito usare bacchette e corde di piombo per pestare densamente in luogo di salire su una Formula Uno.
“Inferno XXXIII”, insomma, è un lavoro poliedrico, in cui la canzone – ben costruita grazie a un talento compositivo di primo piano – è sempre al centro dell’attenzione, diversificando e rendendo longevo l’LP stesso. Per quanto concerne gli Ulvedharr poco da aggiungere: al momento possono ritenersi fra coloro che siano degni di essere i portabandiera del death metal italiano. Che, come si può supporre, non ha nulla da invidiare a quello internazionale.
Puro metallo, in massima sintesi.
Daniele “dani66” D’Adamo