Recensione: Infidel Art

Di Riccardo Angelini - 2 Febbraio 2003 - 0:00
Infidel Art
Band: Sigh
Etichetta:
Genere:
Anno: 1995
Nazione:
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76

Quando si parla di black metal a venire in mente per prima è senza dubbio la scena scandinava, ed in particolare norvegese. Ma se esistono eccezioni a tale regola, sicuramente i nipponici Sigh sono una di queste.
La band nasce nel 1989, su iniziativa di Mirai Kawashima, eclettico strumentista e compositore che si divide tra voce, basso e tastiera, recuperando la lezione del thrash ottantiano più grezzo in cui molti ravvisano il primi vagiti del black seminale, ovvero quello di Venom, Bathory e Celtic Frost.
Dopo un paio di demo ed un EP, la band verrà notata nientedimeno che da Euronymus, il quale scritturerà subito il combo (completato da Shinichi Ishikawa alle chitarre e Satoshi Fujinami alla batteria) per la sua Deathlike Silence Productions. Successivamente i tre giapponesi passeranno sotto la Cacophonous Records, sotto la quale pubblicheranno altri tre album ed un EP.

Questo Infidel Art, primo full-lenght edito dall’etichetta inglese, rappresenta un capitolo intermedio tra le radici black del primo disco e le future coraggiose sperimentazioni ai confini con il prog, che collocheranno la band su quella strada fortunata lungo la quale nomi del calibro di Arcturus, Borknagar e Vintersorg partoriranno negli anni a venire capolavori su capolavori. I sei brani dell’album, dalla durata media di circa nove minuti, si muovono dunque tra coordinate vicine alla tradizione norvegese, soprattutto nel sound crudo ed affilato delle chitarre, e la volontà di trovare nuove soluzioni, riconoscibile nell’uso sapiente e ben dosato delle tastiere e nei diffusi cori maschili. In questo contesto il primo brano, Izuna, pare il ponte ideale tra i due stili: si tratta infatti dall’episodio più vicino agli stilemi classici del genere, ma già nei minuti finali si fa notare l’intervento originale ed innovativo della tastiera, decisamente lontano dagli standard dell’epoca. La varietà delle composizioni, i frequenti cambi di ritmo e l’alternarsi nel ruolo di protagonista di cori maschili, melodie coinvolgenti e riff trascinanti riescono peraltro nell’impresa di mantenere sempre viva l’attenzione dell’ascoltatore: ne è prova evidente una traccia come The Zombie Terror, in cui Kawashima non esita a mettere a tacere le voraci chitarre per dar spazio alle note inquiete e drammatiche di un tenebroso pianoforte. Ci pensa poi l’eloquente Desolation a mettere in luce la predilezione della band per i ritmi gravi e rallentati; e mentre le cupe tastiere accompagnano il semi-parlato rauco ed intenso dello stesso Kawashima, si ode in lontananza l’eco di certe sonorità doom figlie dei maestri Black Sabbath. Ora, non stupitevi se arrivati alla quarta traccia, The Last Elegy, avrete l’impressione che le note uscenti dallo stereo appartengano ad un’operetta classica dai temi bucolici: i Sigh sono anche questo. Se la cosa non vi fosse gradita, non temete: presto ogni traccia di letizia sarà spazzata via dal drumming grave e monolitico di Fujinami, pronto a scandire inesorabilmente le battute di cantato ora malvagio, ora teatrale, ancora supportato da sinfoniche tastiere che ricordano a tratti gli episodi più felici della discografia dei Bal-Sagoth. La penultima Suicidogenic, di durata inferiore al resto del lotto, dopo l’intro semi-orchestrale, esplode in un riffing potente e diretto, all’insegna del minimalismo e della violenza sonora, che raggiunge il suo apice nell’assolo marcio e tagliente di Ishikawa (peraltro uno dei pochi concessi dal chitarrista). Chiude l’opera Beyond Centuries, che pur non essendo l’episodio più riuscito del terzetto giapponese ne appare una summa significativa ed un degno commiato.
Va segnalato che il cantato di Kawashima, né scream né growl, è alquanto singolare e potrebbe non piacere a tutti. Tuttavia, pur non brillando certo per potenza, la voce del mastermind dei Sigh si adatta bene allo stile decadente della band, soprattutto nelle parti pulite. Capita poi che, a tratti, le chitarre siano relegate in secondo piano dai cori o dalle tastiere, ma quando tornano alla ribalta lo fanno con cattiveria e decisione. La perizia tecnica dei musicisti d’altronde è buona, ma anche per questioni di stile rimane sempre sullo sfondo.

In definitiva, un’opera di indubbia qualità, soprattutto se si pensa all’anno di uscita (1995!) ed alla grande varietà compositiva che la caratterizza. Di certo non mancherà di piacere agli amanti della sperimentazione (intelligente), ma potrebbe aprire nuovi orizzonti anche ai blackster più intransigenti. I capolavori della band devono ancora venire, ma già qui sono visibili le premesse del futuro salto di qualità.

Tracklist:

1 – Izuna
2 – The Zombie Terror
3 – Desolation
4 – The Last Elegy
5 – Suicidogenic
6 – Beyond Centuries

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