Recensione: Infinite
Questo album è stato sicuramente una tappa fondamentale nella carriera degli Stratovarius. Positiva o negativa sarà ciascun ascoltatore a deciderlo. Io personalmente mi metto in mezzo tra le due alternative. Di certo non si potrà dire che Infinite sia un cattivo album, anzi, però ci sono alcune cose non del tutto a posto che fanno storcere un po’ il naso.
Parliamo prima delle cose buone: i cinque finlandesi hanno composto un album che raramente annoia, proponendo quel melodic/power metal che è loro marchio di fabbrica, raffinato e perfezionato col tempo. All’interno del disco ci sono canzoni notevoli, tra cui Hunting high and low e A million light years away (di cui sono stati girati anche i rispettivi video), che condensano l’essenza del sound degli Strato, velocità, melodia, eleganza, condite dalla stupenda voce di sirena di Kotipelto. Tutte le composizioni sono suonate con maestria, non dimentichiamo la formazione da sogno con cui attacca il combo finlandese: Kotipelto – voce, Tolkki – chitarra, Michael – batteria, Kainulainen – basso, Johansson – tastiere. Una produzione senza pecche (come tradizione si sono affidati ai rinomati Finnvox Stusios) contribuisce a mettere in risalto la tecnica individuale dei musicisti coinvolti.
Allora, cos’è che non va? Non è certo la tecnica a preoccupare, quanto la quasi totale mancanza di idee nuove. Non si chiede mica che di colpo stravolgano il loro sound, per carità!, però qualcosina di nuovo ogni tanto fa sempre piacere sentirla e qui dentro di nuovo c’è veramente ben poco, purtroppo. A partire dalla prima traccia (peraltro bollata da molti come prova inconfutabile della strada per un’eccessiva commercializzazione dei finlandesi) tutte le composizioni si susseguono piacevoli, a tratti esaltanti, riproponendo però, come detto, schemi già sentiti, senza spesso lasciare eccessiva traccia del proprio passaggio alle orecchie dell’ascoltatore. Si passa da episodi buoni, come Millennium, veloce e diretta, Phoenix, potente con un ottimo lavoro di batteria (anche se l’inizio di questa song è IDENTICO all’inizio di Stratofortress, su Elements pt.I, ascoltare per credere!), Freedom, ariosa e di immediata assimilazione, ad altri piuttosto pesanti o molli, vedasi Mother Gaia, song dalle forti venature prog, la quasi title track, Infinity, solita lunghissima song, che risulta essere veramente pesante, oppure la conclusiva Celestial Dream, piuttosto moscia e inutile. Due note marginali ma che saltano subito all’occhio: 1, la copertina è stata ricopiata in buona parte nell’album successivo, Elements pt.II; 2, il booklet è veramente scarno e mal curato, le foto della band sono orrende (sono tutti truccati, tirati a lucido e hanno tutti il rossetto…).