Recensione: inFinite

Di Alberto Busso - 1 Aprile 2018 - 8:39
InFinite
Band: Deep Purple
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2017
Nazione:
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80

50 anni di Deep Purple, 19 album… La storia del rock passa di qui!
A 4 anni di distanza da “Now What?!”, album di buon livello, i Deep si ripresentano sul mercato discografico con un disco – posso dirlo? – strepitoso.
Pensare che ad un’età media di circa 70 anni riescano a sfornare un album del genere, ha davvero dell’incredibile.
Come potete capire “InFinite” mi piace e molto anche. Il marchio di fabbrica è ben presente, ma gli ‘zii’ vanno oltre e ci regalano un album di puro hard rock con notevoli venature di Prog Rock. Doveroso menzionare Bob Ezrin alla produzione.
Ian Gillan, con mestiere, si presenta con una voce calda, senza mai strafare e, logicamente, senza gli acuti di inizio carriera. Sempre puntuali Paice e Glover a dettare i tempi delle canzoni.
Ad emergere ci pensano Morse, con il suo stile delicato ed inconfondibile e assoli sognanti e impregnati di magia e Don Airey, che impreziosisce ogni canzone con la sua maestria. Entrambi gravati dal peso di un’eredità ingombrante sulle spalle, sono riusciti a rendersi riconoscibili e, in un certo senso, a svincolarsi rispettivamente da Blackmore e Jon Lord.

 

Il trittico iniziale fa rimanere subito l’ascoltatore a bocca aperta: “Time for a Bedlam”, “Hip Boots” e “All I got is You”,
“Time for a Bedlam” è un brano  diretto, potente, caratterizzato da un ottimo Gillan e nella parte centrale da un Don Airey superlativo.
A seguire “Hip Boots” dove Morse, fino a quel momento quasi in sordina, si presenta con un assolo magistrale.
Senza perdere il filo conduttore del disco, ecco arrivare “All I got is You”… Stupenda, per il sottoscritto. La migliore del lotto. Inizia lenta, delicata, con le tastiere ad introdurci nel brano e man mano che i secondi passano, aumenta l’intensità. Non emerge uno strumento ma è la compattezza a fare di questa canzone una piccola gemma nella discografia dei Deep Purple.

“One Night in Las Vegas” è invece hard rock puro. Scanzonata, allegra, con un sottofondo boogie. L’interpretazione di Gillan qui è perfetta.
Mentre “Get Me Outta Here” è la traccia che meno mi coinvolge, un tantino strascicata e poco ispirata, anche se l’assolo di Morse non è per nulla male.
Ma i Nostri si riprendono subito, perché il capolavoro assoluto dell’album è in arrivo… “The Surprising”: delicata, sognante ed eterea. Da ascoltare al buio, ad occhi chiusi, e farsi trasportare. Ian Paice particolarmente sugli scudi. Arey nuovamente magistrale nel creare il sottofondo del brano e l’ottimo Morse che ci porta lontano nello spazio e nel tempo.
Da non perdere sicuramente il videoclip del brano, dove i Nostri, fumettati, a bordo di un’enorme rompi-ghiaccio, ripercorrono la loro storia tramite riferimenti a tutti i lori album. Geniale!
 

Ritorna il rock made Deep con “Johnny’s Band“, brano vivace dove si respira un’ottima sintonia tra tutti I componenti, quasi a comunicarci la loro Pace dei Sensi.
La conclusione del disco spetta a “On Top of the World” e “Birds of Prey”.
“On Top of the World” è da segnalare per il ritornello centrale piacevole e decisamente  orecchiabile. Peccato solo che il finale lasci un tantino a desiderare, va lentamente a sfumare proprio quando si è pronti a godersi un bell’assolo di Morse.
Il disco volge al termine con “Birds of Prey”, brano dal suono decisamente progressive e la cover di “Roadhouse Blues”. Piacevole, certo, ma rimane qualche dubbio sul perché sia stata inserita, almeno da parte di chi scrive.

A  conclusione della recensione mi viene solo da aggiungere un Grazie, per le emozioni che la musica dei Deep Purple riesce sempre a trasmettermi.

 

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