Recensione: Infinity

Di Daniele D'Adamo - 13 Aprile 2025 - 0:00
Infinity
Band: Almucantarat
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2025
Nazione:
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78

Gli Almucantarat arrivano dalla gelida Russia, Paese che ultimamente sta dando la luce a numerose band ma anche one-man band che si rifugiano nel black metal o, meglio, nell’atmospheric black metal per immergersi nella pletora di emozioni che questo sottogenere dà alla vita.

I Nostri sono un duo. Ammanas si occupa di tutta la strumentazione, mentre Mikal Fatale mette a disposizione la sua ugola. A tal proposito si rileva che le linee vocali sono del tutto improvvisate, al fine di dare profondità alle medesime seguendo le emozioni che, nell’istante della registrazione, permeano il corpo del cantante. Il quale le concepisce nella forma tipica di disperate harsh vocals, ma anche come interpretazione utilizzando la voce naturale (“She’s the Cut“), per un risultato finale interessante e piuttosto originale di alternanza fra dolce e aspro.

Altra caratteristica che è bene evidenziare, è che i Nostri dichiarano di aver registrato “Infinity“, il loro secondo full-length in carriera, senza avere avuto a disposizione i mezzi economici necessari per una produzione professionale. A parere di chi scrive questa è una peculiarità da tenere conto, poiché il sound del disco non è male, anzi. La musica è chiaramente discernibile nelle sue varie componenti, così come la voce; con che si può ascoltare qualcosa di artigianale ma concepito bene, elaborato con un passione pressoché infinita, rilevabile in ogni attimo del disco proprio per la ridetta, grezza manifattura.

La vicinanza dell’album al depressive black metal è percepibile come un sottile sentimento che si aggroviglia alle note dell’album stesso. Lo testimoniano anzitutto i gracchianti accordi della chitarra, poi i segmenti cantati con piglio disperato (“The Tormented“). La grande presenza delle tastiere, onnipresente, riporta sempre e comunque a un’ambientazione diversa ove, al contrario, prende corpo la dimensione onirica.

Gli Almucantarat, difatti, scatenano la loro capacità di dipingere immaginari paesaggi montuosi in cui si ergono vette di granito, fra le quali la presenza dell’uomo è percepibile grazie ad antiche strutture murarie. Così come dimostra lo splendido disegno di copertina, fortemente evocativo di atmosfere da sogno o da incubo a seconda di come la mente reagisce alla musica.

Accanto a una bravura evidente nel concretare un lavoro più che buono in ordine alla citata mancanza di mezzi finanziari, c’è il talento compositivo. In questo casi non ci sono dubbi: la coppia di Vladivostok è infatti in grado di scrivere canzoni dall’alto peso specifico, ben definite nei loro dettagli ma soprattutto ricche di melodie che permeano la mente di chi ascolta, catapultandolo in qualche lontana vallata orlata da incommensurabili cime innevate. Da solo, per scivolare fra le onde del mare della malinconia, senza però annegare nel vuoto della depressione.

Malinconia che si può percepire in qualunque delle canzoni del platter, quale leit motiv di un’opera tesa a manifestare tutto ciò che alberga nell’animo umano quando si attivano i neuroni deputati alla generazione di tale emanazione di abbattimento. Ne è prova “The Sea of Trees”, eretta su un motivo portante incredibilmente maestoso, orchestrazione sublime dello scoramento quando la sofferenza interiore raggiunge limiti insopportabili. Una volta caduti in essa, è stupendo non uscirne più, lasciandola lì, nel cervello, a vagare all’infinito. Una capolavoro assoluto dalla vaga tristezza, che non ha motivo di essere se non come naturale espressione della sensibilità che si annida nel cuore delle persone più percettive e melanconiche di natura.

Infinity” è un’opera dal notevole valore artistico, che non viene sminuito dal carattere totalmente underground degli Almucantarat. Gli amanti dell’atmospheric black metal troveranno, quindi, pane per i loro denti, potendo disporre di un potente getto di passioni, frammiste fra crudezza e morbidezza.

Daniele “dani66” D’Adamo

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