Recensione: Inhabitants of Dis

Di Daniele Balestrieri - 16 Luglio 2002 - 0:00
Inhabitants of Dis
Band: Bloodshed
Etichetta:
Genere:
Anno: 2002
Nazione:
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80

Bloodshed. Probabilmente non molti conoscono questa brutalissima band svedese, ma è davvero un peccato, perché è interessante notare come di scandinavo abbiano solamente la produzione, quando invece il loro sound è di clamorosa ispirazione americana. La band si compone di cinque membri, Tommy e Joel alle chitarre, Glenn ai vocal, Mikael alla batteria e Robin al basso e al growl. Di recente formazione, i Bloodshed hanno prodotto due demo, uno prodotto sotto il nome di Scythe e dal titolo “When the night betrays the light” e un altro con il loro nome, Bloodshed, intitolato “Laughter of Destruction”. Segue nel giugno del 2000, nei Sunlight studios, la loro prima release ufficiale, dal nome di Skullcrusher.All’inizio del 2002 quindi entrano negli stessi studios (dal glorioso passato, ma un po’ trascurati in questo ultimo periodo) con Tommy reduce da un tour nientemeno che con i Finntroll, e iniziano la registrazione di questo “Inhabitants of Dis”.

Il primo approccio è davvero sorprendente. Come già detto infatti il loro sound è prettamente americano, hanno abbandonato le velleità di black “convinto” che in parte avevano caratterizzato il loro debut album, Skullcrusher, e si sono gettati in un brutal veloce e crudo, che occasionalmente lascia quegli spazi di respiro che solitamente le altre band brutal emergenti dimenticano. Un segno di maturità da non sottovalutare, specialmente in un ambito dove le nuove proposte fanno a pugni per avere un posto al sole. Di sole, comunque, questo album ne ispira poco: bellissima copertina e un concept un po’ sfuggente fanno da cornice a un album tutto sommato veloce, che alterna momenti di voce pulita (uno screaming medio) a pezzi growl molto (e sottolineo molto) ben fatti. Sono un fanatico del growling e questo è davvero molto buono, non sporco come quello delle solite band emergenti ma al contrario ben congegnato e ricco. Le canzoni, undici in tutto, sono tutte molto ben fatte e ben registrate, e il misto di variazioni all’interno di ogni canzone, così come le introduzioni lente e cadenzate che vanno velocizzandosi di volta in volta mi fa quasi ricordare il vecchio brutal un po’ “casareccio”, e per questo molto efficace, degli Entombed o dei Dark Funeral dei tempi gloriosi, ottenendo un risultato veloce e brutale, e abbastanza articolato. Insomma un eccellente brutal malato stile Marduk. Questo può essere anche curioso come paragone, ma ciò che ricorda i Marduk non può essere brutto.

Davvero un buon CD, se vi manca un po’ di buon brutal che sa anche abbandonarsi a momenti di “riflessione” tra una violenza e l’altra (come la traccia 8, Deceit o la 4, Release) ve lo consiglio vivamente. Certo non è il massimo dell’originalità, garantito, ma l’extreme di classe è fatto così, e come esperimento di brutal europeo è da promuovere con orgoglio.

TRACKLIST: (Digipak)

1. Death by Hanging
2. Mark of the Cursed
3. Paradoxal Experience
4. Release
5. Dark Trace
6. Kiss of Cruelty
7. Blood Music
8. Deceit
9. City of Dis
10. Doomsday Device
11. Psychosomatic Revelation

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80