Recensione: Inmortal
Questi Warcry sono spagnoli, più precisamente asturiani e nulla hanno a che vedere con gli omonimi tedeschi, autori di Revenge in Blood, nel 2011. Formatisi nel 1992 vantano una carriera che li annovera fra i migliori interpreti del Metallo battente bandiera giallorossa. Otto album all’attivo non sono bruscolini, senza conteggiare video vari, singoli e il demo del 1997, intitolato Demon 97.
Inmortal è appunto l’ottavo sigillo ufficiale in studio della Loro storia e si presenta in una sontuosa confezione digipak apribile che si trasforma a tutti gli effetti in una croce cartonata. Il packaging, veramente da urlo, si completa di un poster vero e proprio con raffigurata la band e del classico libretto contenente tutti i testi, rigorosissimamente in lingua spagnola, accompagnati da disegni e foto di marca egizia, in linea con le liriche. Il disco è stato masterizzato da Mika Jussila presso i Finnvox Studios di Helsinki, in Finlandia; la produzione, di alto livello, da Daniel Sevillano.
L’inizio è esaltante: Quiero Oírte è pezzo di razza, nel quale la componente HM prevale sulle spinte più Power, il climax si raggiunge durante il ritornello, grazie anche a una interpretazione sugli scudi da parte di Víctor García, uomo d’esperienza e dalla voce maschia.
I Warcry riescono a fornire il meglio del Loro repertorio nel momento in cui affilano armi e chitarre nella Sacra direzione dell’heavy metal più tradizionale e tradizionalista. Ovvio, poi, che la differenza la facciano tramite la componente melodica della proposta, vedasi brano numero due, Venganza e brano numero quattro, Siempre.
Meno ficcanti, decisamente, i cinque hombres di Oviedo risultano essere in situazioni tipicamente Power (Huelo El Miedo), ove paiono la copia della copia dei grandi maestri del genere, lingua spagnola esclusa, ovviamente. L’urgenza epica di Como un Mago ad esempio, paga pegno a concessioni di contorno davvero troppo in evidenza. Chiusura all’insegna dell’Acciaio per via dell’ascia senza pietà di Pablo García a sorreggere le trame di Mi Tierra, brano struggente con, al solito El Señor Víctor García in veste di mattatore dietro al microfono.
Sia quel che sia, comunque, l’idioma iberico, se ben coniugato alla musica dura così come fatto dai Warcry, è sempre un bel sentire: sensuale, scorrevole e adattabile a molteplici situazioni d’ascolto. Se dovessero indurire ulteriormente la proposta e limitare lo spazio dedicato oggi alle tastiere, questi spagnoli in futuro sapranno sicuramente stupire: il Sacro Graal del songwriting è già in mano Loro.
Quindi Larga vida al rock and roll, come predicavano i grandi di España Baron Rojo.
Vamos!
Stefano “Steven Rich” Ricetti