Recensione: Inroads

Di Daniele D'Adamo - 23 Aprile 2012 - 0:00
Inroads
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Anno: 2012
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88

Secondo atto per i The Wretched End: a due anni di distanza dall’eccellente debut album “Ominous”, è ora la volta di “Inroads”. Squadra che vince non si cambia e quindi rimane invariata la formazione di partenza, cioè il trio delle meraviglie composto da Samoth (Scum, ex-Emperor, ex-Zyklon, …) alla prima chitarra, Cosmo (Mindgrinder, Scum, ex-Source Of Tide, …) alla voce, al basso e alla seconda chitarra e, quindi, Nils Fjellström (Dark Funeral, In Battle, ex-Aeon, …) alla batteria.

Ci sono volte in cui i cosiddetti ‘supergruppi’ non rendono su disco le enormi potenzialità tecnico/artistiche possedute da ogni singolo membro, disperdendole cioè in inutili autocelebrazioni dei talenti in ballo. I The Wretched End, invece, sono un complesso vero; formato, sì, da straordinari musicisti, però dannatamente consistente e concreto, dotato di grande personalità e capace di realizzare canzoni ben lontane dall’essere meri esercizi virtuosistici. Tomas Thormodsæter Haugen, aka Samoth, è – semplicemente – uno dei migliori chitarristi al Mondo nel ventaglio black/death/thrash. Una lunga esperienza alle spalle e la militanza in act leggendari come gli Emperor rappresentano un background culturale molto esteso che, assieme a una tecnica inappuntabile, a un tocco immediatamente riconoscibile fra mille, a un feeling profondo sia con gli stilemi classici del genere sia con le sonorità più avanzate e, ultima ma non ultima, a un’ottima capacità di scrittura, fanno dell’axe-man norvegese un mastermind il cui valore complessivo ha pochissimi uguali, dal polo nord al polo sud. Se si pensa che accanto a lui certo non sfigurano Cosmo e Nils Fjellström, si possono allora intuire facilmente le enormi potenzialità possedute dal terribile terzetto. Il primo (Cosmocrator nei Mindgrinder e negli Scum), oltre a essere un abile programmatore d’effetti e a occuparsi delle chitarre, continua la tradizione dei bassisti/cantanti dotati di mano pesante e voce stentorea. Tipo Tony “Secthdamon” Ingebrigtsen dei defunti Zyklon e Kenneth “Master V” Lindberg dei Myrkskog – giusto per fare due esempi non a caso giacché i destini di questi due act si sono più volte intersecati, in passato – , capaci cioè di disegnare delle linee di basso possenti e rombanti e, al tempo stesso, di interpretare le lyrics con un timbro che abbraccia, di nuovo, il triumvirato black/death/thrash con una leggera inclinazione per l’ultimo dei generi citati. Fjellström, da par suo, è un batterista spaventosamente veloce e potente, preciso come la lama di un chirurgo, tentacolare come una piovra, bravo nel coniugare tecnica a inventiva.   

Ecco quindi che, pur senza inventare un nuovo genere come hanno fatto i Meshuggah con il djent, i The Wretched End tirano fuori dal cilindro un sound pregno di carattere, dalla fisionomia pressoché unica, cui è davvero arduo tentare di dare una classificazione soddisfacente. Black, thrash e death si fondono in modo così uniforme che è impossibile separarne i singoli contributi. Si può tentare un azzardo con il termine ‘death thrashizzato’, rilevando con ciò che il black non sia così presente e che il death abbia subito, per così dire, un indurimento ritmico da parte del thrash. Lo step evolutivo successivo al progetto Zyklon, insomma. Se poi, a tutto questo, si aggiunge la bontà della produzione, tale da proiettare letteralmente la musica fuori dagli altoparlanti, tirando le somme si può affermare che “Inroads” sia uno dei migliori lavori in assoluto usciti nell’ultimo anno, perlomeno come suono (nell’ambito del metal estremo, ovviamente).    

Andando al songwriting per chiudere il cerchio su “Inroads”, più su s’è già accennato alle singole composizioni come unità dotate di profondità e rilevanza artistica. Fatto che, analizzando più a fondo il disco, non si può che confermare. E così, i rumori cyber/ambient dell’incipit di “Tyrant Of The Mountain” danno il via a nove brani eccellenti, primo fra tutti – appunto – , la micidiale opener. Una sventagliata di riff assassini si abbatte su ogni cosa fra rallentamenti, accelerazioni, inserti campionati, sferzate thrash, intagli melodici; il tutto coniugato dall’impressionante dinamismo di Fjellström e dalla ruvida ugola di Cosmo. Se poi pare matematicamente improbabile che qualcuno, al giorno d’oggi, riesca ancora a tirar fuori dalla sei corde un main riff che abbia una sua originalità esplosiva totale, basta ascoltare quello che combina Samoth in “Deathtopian Society”, song peraltro intrisa di quel tono cupo e oscuro che rende molto, molto profondo “Inroads”. Il travolgente mid-tempo di “Death By Nature” acuisce quest’angosciosa sensazione di pessimismo per le alterne vicende della vita, resa davvero palpabile dall’acido che corrode la tonante voce del vocalist. Ancora un intermezzo ambient ed è il momento di “Cold Iron Soul”, dalle ardite dissonanze e dall’energia sovrabbondante, trascinante, senza scampo. “The Haunting Ground”, devastata da granitici riff stoppati con il palm-muting e lacerata da soli taglientissimi, è forse l’esempio più indicato per materializzare, se possibile, il concetto di ‘death thrashizzato’. Con “Fear Propaganda” il combo di Notodden richiama le arcane melodie che, in questo caso, sono bagaglio della tradizione black, anche se il flavour cyber-futurista che, parallelamente, si percepisce, riporta sempre alla mente la modernità intellettuale di Samoth e compagni. Non a caso, il groove caldo e avvolgente di “Blackthorn Winter” si può indicare come l’episodio meno convenzionale del CD, con qualche drammatica sperimentazione ritmico/armonica che, seppur non eccessiva, può indicare una nuova strada da seguire, per i Nostri. Anche “Hunger”, più violenta, prova a saggiare qualche melodia meno abusata, anche se i toni del durissimo ritornello anthemico non ammettono repliche in merito al fatto che, indiscutibilmente, i The Wretched End facciano del dannato metal estremo. E, infatti, “Throne Renowned Of Old” chiude in apnea da iper-velocità il viaggio nell’Apocalisse cui s’è fatto carico, come un novello Caronte, “Inroads”.   

Opera grandiosa, priva di punti deboli; band stratosferica, senza macchia e senza paura. Imprescindibili, entrambi.
    
Daniele “dani66” D’Adamo

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Tracce:
1. Tyrant Of The Mountain 4:13     
2. Deathtopian Society 4:32     
3. Death By Nature 3:44     
4. Cold Iron Soul 4:34     
5. The Haunting Ground 3:31     
6. Fear Propaganda 5:24     
7. Blackthorn Winter 4:08     
8. Hunger 3:37     
9. Throne Renowned Of Old 5:39                  

Durata 39 min.

Formazione:
Cosmo – Basso, voce e chitarra
Samoth – Chitarra
Nils Fjellström – Batteria
 

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