Recensione: Insects
Insects rappresenta il secondo full lenght per i tedeschi Farsot, forti come sempre di un’intricato e freddissimo black metal dalle tinte industriali e depressive. La band, formatasi in quel di Gotha, piccola città del Bundesländer (stato federale) della Turingia, mantiene sin dagli esordi un’onesto anonimato formale -i nomi dei membri, infatti, sono rappresentati da sigle- come a voler fare della propria musica l’unico ed il solo canale di comunicazione. E a dire il vero tale criptica operazione sembra riuscire appieno in quanto, pur non volendo ustionarsi la faccia sotto i riflettori, i nostri dimostrano senza troppi problemi di avere parecchio da dire in ambito lirico e musicale.
L’atmosfera generale del lavoro, asfissiante e clustrofobica, ne incornicia con precisione il tema dominante, incentrato sull’idea che l’umanità un giorno si autodistruggerà a suon di testate nucleari, lasciando gli insetti, più resistenti alle radiazioni, come unici ed incontrastati padroni del mondo. Tale apocalittico scenario viene dipinto dai Farsot attraverso uno stile ricercato e personale, capace di mostrare sin dai primi ascolti il carattere di una band che non teme le sperimentazioni. Ogni singolo brano infatti risulta incastonato in un continuum lucidamente psicotico, capace di stordire chi si avventuri fra le sue spire.
La copertina del disco, raffiguarante l’incisione in stile anatomico antico di un cranio aperto e sezionato fino a mostrarne il contenuto, assume quasi involontariamente il carattere di varco, di porta d’accesso alla mente dell’uomo ed alle pulsioni che lo porteranno all’estinzione.
Tale disperata violenza concettuale si esplicita in brani come l’opener “Like Flakes Of Rust” o la successiva “Empyrean”. Proprio quest’ultima traccia, probabilmente la migliore del lotto, sembra incarnare appieno lo stile dei Farsot. Come un viaggio emotivo, fra dissonanze potenti, stacchi serrati ed angoscianti digressioni, il brano, forte anche di una marcata vena progressiva, possiede la capacità di appassionare ed incuriosire, mantenendo un mood ipnotico per tutta la propria impressionante durata. Tale carateristica si manifesta anche nella decadente “Adamantine Chains” che plasma ed esaspera il prorio contenuto lirico grazie ad un’atmsfera che definire plumbea pare un eufemismo fin troppo gentile. Morbose illusioni ed atmosfere venefiche lacerano la coscenza e l’angoscia prende infine il sopravvento nell’ottima “Withdrawl” dove veniamo paragonato ad insetti, soli in un universo molto più grande di noi.
Con l’aumentare degli ascolti, come accennato in precedenza, risultano pienamente distinguibili lo stile personale e le scelte compositive della band. Tuttavia quello che può apparire a tutta prima come un pregio scintillante, se abusato può assumere la forma di un’arma a doppio taglio. Analizzando attentamente il lavoro si nota infatti come la band, sicura delle proprie capacità, tenda ad ostentare alcune scelte stilistiche, rifacendosi più e più volte a soluzioni già utilizzate nel corso del disco, con l’ovvio risultato di renderne difficoltoso e pesante l’ascolto globale. Non basta l’introduzione di un interludio acustico, la comunque pregevole “7”, proprio a metà del disco a distogliere l’attenzione da quello che man mano viene a configurarsi come un lugubre, lucido e compatto monolita musicale, impastato con violenza e disperazione ma cesellato con fin troppa cognizione di causa.
In pratica questo Insects è in grado di trasmettere alla perfezione ma in modo unidirezionale senzazioni come angoscia, odio e depressione. Come se fossero tutte metaforicamente fuse in proiettili ed inserite nel caricatore di una grossa pistola, il cui proprietario però spara ogni singolo colpo nella stessa direzione, senza distogliere mai lo sguardo dal bersaglio designato.
Ovviamente trovare difetti nel lavoro di una band che per la maggior parte del pubblico, anche settoriale, risulterà sconosciuta, non è certo difficile e tantomeno richioso. In questo caso tuttavia tali imperfezioni vengono stemperate dal buon valore globale di un disco che, se preso a dosi limitate, può comunque risultare gradevole. Sentire infatti qualcosa di drasticamente personale e coraggioso di questi tempi è cosa rara e non sarà certo l’abuso di alcune buone soluzioni ad influire in maniera fiaccante sul giudizio di un prodotto che ha comunque parecchio da esprimere.
Per questo pare d’obbligo la meritata promozione, sperando però che in futuro la band riesca a ruotare il proprio sguardo omicida di almeno un paio di gradi in più a destra e sinistra prima di fare fuoco.
Alessandro Cuoghi
Lineup
v.03/170: bass, keyboards
R 215k: drums
Pi: 1T 5r: guitars
3818.w: guitars
10.XIXt: vocals
TRACKLIST:
1) Like Flakes of Rust
2) Empyrean
3) Perdition
4) 7
5) Adamantine Chains
6) The Vermilion Trail
7) Withdrawal
8) Somnolent