Recensione: Instant Clarity
Inizia nel lontano 1996 la carriera da solista di Michael Kiske, il biondo crinito singer che, partendo dalle fila del gruppo sconosciuto degli “Ill prophecy”, era venuto alla ribalta con gli Helloween, con i quali aveva sfornato due pietre miliari del power come “Keeper of the seven keys” , pt.1 e pt.2. Ma dopo due CD mediocri dal punto di vista commerciale con le zucche (Pink Bubbles go Ape e Chameleon), quanto di più lontano dal power teutonico, Kiske aveva scelto di tentare la strada da solista, anche a causa di un ambiente (la scena metal) che non gli andava più a genio.
Nasce così per l’etichetta Raw Power l’album “Instant Clarity” (mixato da Charlie Bauerfiend) che, non discostandosi da quanto fatto vedere con gli ultimi album suonati con gli Helloween, è una sorta di proseguimento ideale (seppur con evidente maggior libertà compositiva) di “Chameleon”.
La prima canzone del cd in questione, ovvero Be true to yourself, è subito palcoscenico per le portentose doti canore di Kiske: partendo con un’intro decisamente rock-oriented in pieno stile Chameleon, la canzone si sviluppa totalmente sui cristallini acuti del singer, rivelandone il suo pieno stato di forma. Degno di nota è anche il testo, una sorta di dichiarazione di intenti; questo il commento di Kiske stesso: “La cosa più importante che un artista deve curare è l’onestà verso sé. Generalmente l’espressione artistica viene sempre meno quando il numero delle vendite aumenta, quando il brano sale in classifica o quando gli interessi anti-artistici di alcune case discografiche inibiscono la creatività dell’artista con le loro esuberanti aspettative”. Come a dire: “so benissimo che se fossi rimasto negli Helloween ed avessi continuato quanto fatto precedentemente avrei venduto di più, ma non mi va che i soldi pregiudichino quanto io invece desidero fare.”
Dopo questa breve parentesi, proseguiamo con la seconda song, The calling, definita da Kiske come “una canzone nello stile tipico Maiden/Kiske”. E qui più di un lettore chiederà: cosa c’entrano le vergini di ferro? La risposta è immediata, è riguarda la prima delle due sorprese di questo album: la canzone in questione è infatti stata scritta a quattro mani da Kiske e dal chitarrista degli Iron Maiden Adrian Smith. In sintesi una canzone molto veloce e potente, con un chorus coinvolgente che si avvicina molto allo stile metal. Canzone azzeccata (forse un po’ meno nel testo che parla di un giovane faraone che sente la chiamata degli dei, e viene pervaso dalla pienezza spirituale …?!?).
Segue Somebody Somewhere, song dove il nostro Kiske esplora nuove modalità canore, cimentandosi in un pezzo dalle influenze “grunge”. Scritto dall’amico Ciriaco Taraxes (Supared), questo brano si rivela comunque molto piacevole, risultando come una sorta di incrocio fra una ballad (soprattutto nel chorus) e un pezzo rock-oriented. Il brano successivo, Burned out, una leggera canzone abbastanza sdolcinata, è in realtà il preludio ad una delle gemme rare di questo album: “New Horizons”. Scritta da Kiske, Smith e Kai Hansen (ex Helloween, ora Gamma Ray, ndr), si rivela una song molto potente, sicuramente la più aggressiva dell’album, che rivela la permanenza dell’influenza metal sul biondo singer. Egli stesso ha infatti rivelato che “esprime il desiderio per nuovi orizzonti musicali situati comunque vicino al mio passato metal.”
Troviamo quindi una canzone molto “sperimentale” ed aggressiva: Hunted. La batteria è molto potente, le chitarre distorte, e la voce leggermente modificata elettronicamente (!); per quanto riguarda il testo, è una frecciata agli ex compagni di gruppo, ed al modo con cui essi hanno trattato chi aveva preso altre strade. Sempre legata al passato è la bellissima ballad Always, che inizia con una suadente intro di piano che fa da cornice alla superba prestazione di Kiske, che esprime in questa canzone il dolore per la morte di Ingo Schwichtenberg (ex batterista degli Helloween, suicidatosi, ndr).
Ma con la successiva Tanx a lot! si cambia subito registro. Difficile è descrivere questa canzone, che incrocia molti elementi, perciò mi affido alle parole di Kiske stesso: “è come se Robert Plant (Led Zeppelin, nda) scrivesse un brano insieme ai Red Hot Chili Pepper” (!). Ascoltare per credere.Time’s passing by è invece una canzone molto dinamica che comincia con un’introduzione acustica della chitarra, per sfociare poi in un chorus con “suoni bizzarri” (a detta dello stesso Kiske). Segue So sick, un brano che almeno nella strofa raggiunge il massimo della sperimentazione con voci molto distorte. Uno strano “esperimento”, il cui risultato, ammette lo stesso Kiske, è una sorta di “serpente che si morde la coda”.
Dopo nove canzoni giunge infine il capolavoro di questo Instant Clarity. Si tratta dell’epica è davvero lunga (10.21 minuti) Do I remember a life?. Dal punto di vista delle lyrics riguarda la delusione per il passato, il dispiacere per i pochi amici veri che Kiske ha dovuto abbandonare a causa delle persone false che invece non facevano altro che prostituire se stesse. Dal punto di vista musicale, invece, la song parte in sordina con un leggero arpeggio di chitarra che fa da cornice alla sommessa voce di Kiske; entrano poi i tamburi che con rapidi colpi introducono un’atmosfera decisamente epica, che sfocia poi nel chorus, superbamente cantato. Da qui in poi inizia un’escalation di suoni in cui, di strofa in strofa, il muro sonoro si arricchisce sempre più per arrivare all’ultimo chorus in cui sembra di essere circondati da un’atmosfera magica. Infine il tutto viene chiuso dal leggero outro di piano dell’amico Ciriaco Taraxes.
Senza contare la superflua bonus track per l’edizione giapponese (A song it’s just a moment), siamo così giunti alla conclusione della nostra recensione. Riassumendo e tirando le fila, consiglio caldamente il cd agli assidui fan di Micheal, a tutti i metallari dalla mentalità aperta, ed a tutti quelli che amano la musica scritta col cuore. Probabilmente non tutte le tracks saranno apprezzate, ma abbiamo comunque molte gemme rare (New Horizons, Always, Do I remember a life…) che sole valgono l’acquisto del cd.
Sconsiglio vivamente l’acquisto, invece, a quanti avevano denigrato “Chameleon” degli Helloween in quanto, come ho già detto, questo Instant Clarity ne è il proseguimento ideale.
Fede “keeper-of-metal”