Recensione: Insufferable Violence
Torna il mostruoso combo olandese Korpse con il terzogenito, “Insufferable Violence”. Torna con il suo bagaglio di brutalità, secondo a nessuno in quanto a efferatezza, a girovagare per queste lande desolate battute dalla pandemia del secolo. Torna con rinnovata voglia di sfondare le scatole craniche degli incauti ascoltatori. Torna.
Già. Brutal death metal. Ma non troppo. Nel senso che nella ricetta messa a punto dai quattro cavalieri dell’Apocalisse c’è molto death. Il che potrebbe essere un’assurdità se non fosse che death classico e il brutal sono decisamente distinti, in quanto a dettami stilistici. Con ciò, riuscendo a mettere assieme i pezzi di un sound spaventoso, terrificante per violenza sonora, purtuttavia venato da un sapore vintage che rende la pietanza decisamente saporita. Condita infine da degli abbondanti pizzichi di slam: non una semplice parola ma dei veri schiaffoni girati con la massima veemenza in piena faccia.
I Nostri, sin dall’opener-track ‘PTSD’, fanno letteralmente paura. Non si tratta di una sensazione ben definita quanto, bensì, di un’istintiva remissione verso qualcosa di esorbitante. Sembra impossibile che a generare una pressione sonora così esagerata sia un combo a una chitarra, ma è così. Un dato di fatto. Il fulminante attacco della title-track, tanto per gradire, è semplicemente devastante, annichilente. Un incipit che si schianta su un muro di suono pazzesco, costruito dai micidiali riff di Floor van Kuijk, che – tanto per aggiungere un ulteriore elemento di singolarità – hanno un gustoso retrogusto thrashy quando rallentano sino a saltellare su terremotanti stop’n’go che sfasciano letteralmente le budella (‘Vital Transaction’). Il rifferama è gigantesco, mirato a essere quanto più pesante possibile invece che complesso e articolato, con accordi monumentali che piegano sino al dolore le membrane timpaniche nel raccordarsi ai lati del muraglione suddetto.
Forse più elaborate le linee di basso, giacché rappresentative di un mondo tutto loro, che s’accoppia a quello della sei (sette?) corde per formare una testa di ariete inarrestabile. Mentre, al contrario, è del tutto allineato al (sotto)genere il roco inhale di Sven van Dijk, capace di buttarsi verso i toni più bassi della voce (?) umana (‘Self Preservation’). Agghiacciante, nel senso che va oltre la paura per entrare nel terrore, il drumming di Marten van Kruijssen. Capace di ruotare con precisione chirurgica attraverso i più disparati tipi di ritmo, sconquassa e tritura le ossa, sminuzzandole, quando s’incunea nei roventi tunnel dei blast-beats. Questi eseguiti con una foga straordinaria (‘A Final Lesson’) nei momenti di massima restituzione sonora. Quando, cioè, vengono raggiunti i limiti umani. Oltre, sinceramente, non si può pensare cosa possa esistere. Forse i Myrkskog, ma così si passa entro i confini di un altro tipo di death, per cui il paragone consiste esclusivamente nella similitudine di una pressoché sconfinata energia propulsiva.
In mezzo a uno sfascio del genere, nel senso di macellazione cerebrale, si riescono a distinguere le varie canzoni. Anche in questo caso si tratta di un pregio non da poco, dato atto che un sound del genere tende a uniformare un po’ il tutto. Così non è, e la formazione di Bussum riesce a mettere giù otto brani uno più tremendo dell’altro, sino ad arrivare a stati di allucinazione da hyper-speed che solo una song come ‘Callousness’, per esempio, può consentire di raggiungere.
Davvero un buon lavoro, “Insufferable Violence”. Scritto ed eseguito con ineccepibile professionalità e con qualche idea in più rispetto alla media della tipologia musicale di cui si tratta, può regalare sensazione assolutamente forti. A patto di essere in grado di reggere le relative sollecitazioni senza disintegrarsi.
Korpse… da tenere a mente.
Daniele “dani66” D’Adamo