Recensione: Into Gay Pride Ride
Se fino ad oggi i Nanowar hanno potuto vantarsi di essere l’unica band ad aver ricevuto un “1” su Truemetal, da questo momento raggiungono l’ambitissimo traguardo della band che ha la maggiore varianza, relativamente ai voti sul nostro portale.
La “forbice” non rappresenta tanto una differenza tra due prodotti, quanto l’appartenenza dei nostri ad uno status – tutto manowariano – di diritto: si tratta di una band senza mezze misure, senza compromessi, o li si ama, o li si odia. Giornalisti compresi.
Ma mentre nel caso dei Manowar il giudizio andrebbe valutato sulla base di interessi economici che portano DeMaio & co. a fare determinate scelte, a volte auto-parodistiche, per quanto riguarda Gatto Panceri 666 & co., buttarla sui soldi significherebbe sparare sulla Croce Rossa…
No, no, non fraintendeteci, non vi stiamo dicendo che abbiamo a che fare con dei “poveracci”…! (o forse sì?) Pensiamo solo che nel 2010 un po’ di “sana” follia non può essere scambiata per eresia, soprattutto alla luce della caduta dei falsi miti di cui sopra.
Tra l’altro, di norma dove c’è follia, c’è anche del genio, e vi possiamo assicurare che durante l’ascolto – e soprattutto la lettura dei testi – di questo “Into Gay Pride Ride” abbiamo rischiato più volte il blocco coronarico. Abbiamo motivo di pensare che buona parte della sregolatezza provenga dalla mente di Christian “ormai ce lo semo giocato” Ice, stimato produttore romano, patron dei Temple Of Noise studio, dove i Nanowar hanno visto la propria creatura vestirsi da grande (in effetti, tornando seri per una frazione di secondo, c’è un abisso rispetto alle precedenti release).
Mai come in questo caso sarebbe opportuno un track by track, anche se questo toglierebbe gran parte del gusto e della sorpresa. Ci limiteremo ad indicare che tra le parodie di Manowar, Rhapsody (Luca Turilli, in realtà), tutto il power metal di ambientazione fantasy, sono deliziose le imitazioni (Hansi Kursch, Luis Armstrong, Piero Pelù, Shaggy…) che costellano l’album a mo’ di guest musician. Senza contare, poi il nonsense delle liriche, o meglio il loro particular-sense, le rime improbabili di cui a volte gli stessi mentori dei Nanowar ricorrono (la domanda è: lo faranno apposta anche loro???), i cliché del genere portati all’eccesso, ecc. ecc.
Non possiamo fare a meno di citare tre brani su tutti, i veri gioielli di questo platter: “Blood Of The Queens” non ha bisogno di presentazioni, è chiaro cosa abbia intenzione di “parodiare”. Il punto più “alto” del songwriting è il “What A Wonderful World” cantato da un duo d’eccezione, sull’arpeggio preso in prestito da “Battle Hymn“, un capolavoro; “Forest Of Magnaccions“, ovvero ciò che tutti almeno una volta nella vita hanno sempre pensato leggendo certi testi; “Look At Two Reels“, vero e proprio tributo a uno dei “maestri” del genere (leggete bene il nome della song per capire di chi si tratti).
Tutto il resto è solo poesia…
Tutto l’album è scaricabile gratuitamente dal sito ufficiale, insieme ai testi.
Noi non vediamo l’ora di presiedere il tavolo della prossima Nanowar-cena in quel di Ariccia, tra una coppietta e una romanella.
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Tracklist:
- Metropolis Part 3 – The Legacy
- Nanowar
- Stormlord Of Power
- The Nanowarrior’s Prayer
- Blood Of The Queens
- Dj Fernanduzzo
- Odino & Valhalla
- Radio Grafia #2
- Surprise Love
- Forest Of Magnaccions
- Look At Two Reels
- 1 vs 100
- Lamento Erotico
- Rap-sody
- Karkagnor’s Song – The Hobbit
- Karkagnor’s Song – In The Forest