Recensione: Into Glory Ride
Into Glory Ride è il disco chiave nella storia dei Manowar, per importanza, stile e potenza espressiva. A parte l’opener, ogni singola nota del resto del platter è puro e semplice Heavy Metal Epico. Composto e registrato nel 1982, arriva in Europa nel 1993 tramite Geffen. Inutile dire quanto questo album sia stato una pietra miliare per un intera generazione di metallari, musicisti e semplici appassionati.
La band americana, come farà per tutta la carriera, se ne frega di tutto e tutti, e sforna una serie di marce epiche e maestose, che nulla hanno a vedere con il panorama musicale del periodo. Nei testi si affrontano temi svariati, dal fantasy, alla mitologia nordica, alle dissertazioni bibliche. Non esiste un legame conduttore, se non la grande atmosfera, che imperversa in ogni singolo pezzo.
La opener Warlord, la solita canzone tamarra che i Manowar non possono fare a meno di produrre in ogni album, è carina, veloce e divertente, ma sinceramente lascia il tempo che trova.
Secrets of Steel, invece, è una delle opere assolute dei Manowar: puro testo fantasy, interpretazione perfetta di Eric Adams, songwriting a quattro mani di Ross the Boss e di un ispirato De Maio, che sfodera anche una grande prestazione al basso, e vigorosa prova di Scott Coloumbus, ecco la ricetta dei Segreti dell’Acciaio.
Gloves of metal apre una serie impressionante di marce epiche, riff cadenzati, distorsione massiccia e tipicamente anni 80, ed è un pezzo godibilissimo, il primo della lunga serie all’insegna dell‘apologia del fan/metallaro guerriero.
Gates of Valhalla è un gioiello di interpretazione, ho avuto il piacere di riascoltarla dal vivo, nel tour di Hell on Stage. E la la voce di Eric era più squillante che mai! Lo schema è semplice ma d’impatto: intro – marcia – intermezzo – assoli – marcia.
Hatred è uno dei pezzi più apprezzati della band americana, anche se io, sinceramente, non l’ho mai amato tantissimo. Indubbiamente è una song varia e parecchio originale, ma le scelte di alcuni suoni non mi soddisfano.
La cavalcata verso la gloria continua con Revelation, che si distingue per i testi molto particolari, tratti nientemeno che dall’Apocalisse di San Giovanni (apocalisse deriva dal greco e significa rivelazione. Gli anglosassoni chiamano Revelation il libro che noi chiamiamo Apocalisse). Con un tema del genere, il pezzo non poteva che risultare ricco di pathos; come sempre a fare la differenza, oltre allo stile indubbiamente inconfondibile del combo, è il cantante.
March for Revenge è il glorioso finale, forse il miglior pezzo dell’album. Lo schema è quello collaudato di Battle Hymns ( marcia – intermezzo – marcia ), i testi sono tra i più violenti mai scritti dalla band, l’atmosfera truce e metallica è unica.
Come chiosa, non posso che dire: se ancora non l’avete, compratelo, senza indugi e senza dubbi.
Si tratta di uno dei migliori album del periodo ‘antico’ della band, anche se come ascolto è sicuramente il più impegnativo.
Io l’ho preso ai tempi, nello scenografico cofanetto ‘Secrets of Steel’, che contiene anche Hail to England e una divertente videocassetta.
Da poco è disponibile anche in Silver edition, ossia rimasterizzato con le migliori e più moderne tecnologie.
Io, a onor del vero, consiglierei caldamente di recuperare il vecchio album, usato o in edizione economica. Secondo me la produzione è così tanto heavy metal anni 80, che i difetti sono così caratteristici da essere indispensabili per un ascolto sano e integro dell’opera!