Recensione: Into The Crypt Of Blasphemy

Di Daniele D'Adamo - 8 Agosto 2010 - 0:00
Into The Crypt Of Blasphemy
Band: Interment
Etichetta:
Genere:
Anno: 2010
Nazione:
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70

In un periodo in cui le band fanno a gara a chi infila più note in un secondo spiccano, quasi con fare beffardo, gli svedesi Interment. Il loro degenere figlio, “Into The Crypt Of Blasphemy”, dimostra inequivocabilmente che per spaccare (metaforicamente) la schiena al nemico occorre, prima di tutto, una cattiveria congenita che non guardi in faccia niente e nessuno.

La band scandinava fonda le proprie radici nell’era in cui i primogeniti di quel genere deviato chiamato «death metal» sguazzavano nel rovente brodo primordiale, per un primo intervallo di attività compreso fra il 1988 e il 1994. Poi, sino al 2002, il silenzio. E da qui, oggi.
Incredibile a dirsi, “Into The Crypt Of Blasphemy” è il primo full-length di una carriera lunga e comunque ricca sia di pubblicazioni sia di prestazioni live. Dopo quattro demotapes (“Birth Of The Dead”, 1990 (con il moniker Beyond); “Where Death Will Increase”, 1991; “Forward To The Unknown”, 1992 e “The Final Chapter”, 1994), uno split con i Funebrarum (“Conjuration Of The Sepulchral”, 2007), un album demografico (“Where Death Will Increase 1991-1994, 2010) finalmente il tanto agognato, vero album d’esordio. “Into The Crypt Of Blasphemy”, appunto.

Questa tribolata carriera, se da un lato ha temprato oltre ogni limite il carattere e la determinazione del combo di Avesta, dall’altro ci consente di godere di un sound così clamorosamente ortodosso da risultare una rarità assoluta, al giorno d’oggi. Tutti gli stilemi che definivano alla nascita il genere ci sono tutti. Simbiosi con il black metal in primis. Se ora mood, temi e sound si sono diversificati in modo pressoché totale dal nero metallo partorito da Venom e Bathory, non bisogna dimenticarsi che i due generi sono nati dalla stessa cellula maligna, poi divisasi.

Incuranti quindi mode e ramificate evoluzioni, gli Interment scatenano sulla Terra le Orde del Male, facendone i condottieri in virtù del loro sound spaventosamente putrido e marcio, inzuppato in toto nello zolfo. Le chitarre formano un substrato tessuto con riff decompostisi dall’originale corporatura black aiutate, nella costruzione dello scellerato groove, da una sezione ritimica rozza ed elementare; basata su maligne sequenze di semplici ma efficaci quattro quarti. Su questa massa convulsa viene sacrificato il vocalist Johan Jansson, ruvida come la carta vetro, roca sì da rendere impagabile la resa delle linee vocali per la sua arcaicità (il voce è sostanzialmente in clean con abbozzi di scream e growl).
Dopo questa dovuta premessa, appare sin quasi scontato che la produzione non offra altro che un suono grezzo, caotico, vorticoso, saporitamente old-style. Chiara la volontà di proporre lo stile ancestrale caratterizzato da elementi quasi dimenticati: sin dal primo ascolto le canzoni si rivelano vere, non posticce o, peggio, artefatte. I Nostri credono in quello che fanno, e lo dimostrano. Come se suonassero gomito a gomito con Possessed, Morbid Angel e Dismember, la potenza ancestrale di song quali “Eternal Darkness” o “Torn From The Grave” (dall’azzeccato ritmo «zoppo») fa sussultare i più reconditi e bui angoli dell’animo umano, travolti, anche dalla furia scardinatrice di “Stench Of Flesh” e “The Pestilence”. L’assalto sonoro non trova alcuna soluzione di continuità nemmeno nei momenti più lenti (sic!) e cadenzati, presenti in “Morbid Death”. Con che, in modo semplice e lineare, i Nostri riescono a metter giù poco trentasei minuti di musica dal forte carattere, dalla decisa personalità e, soprattutto, dall’incrollabile fede nel death metal così com’è nato quasi venticinque anni fa.

Nel 2010 il death ha forme e contenuti evolutisi in modo esponenziale da quanto proposto dagli Interment che, ovviamente, appare inutilmente anacronistico. Tuttavia lo scellerato quartetto ci sa fare con la musica e possiede l’inconfutabile pregio di riuscire – oggi – a sfornare il leggendario feeling posseduto dai Padri del death metal, ormai persosi nelle nebbie del tempo. Disco imperdibile per tutti i death-metallers: quelli della generazione che vissuto la nascita delle Leggende del death metal potranno riassaporarne gli irrecuperabili sentori. Gli altri potranno invece avere l’idea quale blasfemia fosse proporre un genere simile nel 1988.         

Daniele “dani66” D’Adamo

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Track-list:
1. Eternal Darkness 3:07
2. Torn From The Grave 3:07
3. Dreaming In Dead 2:33
4. Stench Of Flesh 4:02
5. Where Death Will Increase 5:38
6. Sacrificial Torment 4:44
7. Night Of the Undead 4:22
8. Morbid Death 5:39
9. The Pestilence 2:56

Line-up:
Johan Jansson – Guitar/Vocals
John Forsberg – Guitar
Martin Schulman – Bass
Kennet Englund – Drums

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