Recensione: Into The Fire
Il nome di spicco che si cela dietro al monicker “Diesel” è certamente quello di Robert Hart, cantante britannico di lungo corso particolarmente noto per aver ricoperto il ruolo di lead vocalist nell’ultimo album di inediti dei Bad Company, “Company Of Strangers”, pubblicato nel 1992. Il resto della ciurma non è, tuttavia, composto da sprovveduti, potendo contare sul talento di musicisti del calibro di Jim Kirkpatrick, ex ascia dei conterranei FM, Jimmy Copley (già visto al fianco di Paul Rodgers e tra le fila della Manfred Mann Earth’s Band) e Pat Davey, attualmente in forza ai Seven.
Viste le premesse e potendo contare sulla robustissima e fascinosa voce di Hart, con il tempo meno Rodgers-clone e divenuta più ruvida e passionale, il genere proposto da questo “nuovo” ensemble non poteva che attestarsi sulle coordinate di un hard rock anni ’70, fortemente impregnato di british blues eppur tutt’altro che indifferente alle sirene del melodic rock. La partenza, a dirla tutta, non è nemmeno delle migliori a causa di una doppietta in apertura (“Lover Under Cover”, molto Deep Purple era “Slaves And Masters”, e “Into The FIre”) un po’ ammanierata e afflitta dai ritornelli meno efficaci di tutto l’album. Il riscatto è tuttavia dietro l’angolo, grazie all’ottima semiballata “Starting Over”, intonata alla grande da Hart, e alla vivacissima “Fortune Favours The Brave”, contrappuntata dall’Hammond. “Brand New Day” è molto californiana, pare infatti di sentire il Jimi Jamison di “I’m Always Here” declinato in salsa Bad Company; eppure il top lo si raggiunge con le successive “Bitter And Twisted”, un hard blues rovente à la Whitesnake, e “So What Is Love”, spettacolare power ballad in bilico tra blues e hard patinato fine anni ’80 alla maniera del Serpens Albus.
“Let’s Take The Long Way Home” è di nuovo un po’ troppo scarica e allegrotta per lasciare per davvero il segno ma, per fortuna, ci pensano “Told You So” e “What You See Ain’t What You Get” a riportare in alto le pulsazioni in attesa di un degnissimo finale, in cui campeggiano l’energia contagiosa di “Skin And Bone” e l’AOR patinato e zuccherino di “Coming Home”.
Come avrete certamente già intuito, “Into The Fire” è un buon prodotto di hard melodico parimenti influenzato dal blues quanto dall’AOR, con un tasso di inventiva di poco superiore allo zero, eppure nobilitato dalle ottime prestazioni di alcuni veterani della scena inglese, nonché da alcune punte qualitative di livello decisamente elevato. Se cercate musica nuova, modaiola o in qualche modo shockante, di certo non è il disco che fa per voi; se siete invece legati ai nomi e alle sonorità che hanno fatto la storia del genere, il debut album dei Diesel riuscirà di certo a regalarvi qualche soddisfazione.
Stefano Burini
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