Recensione: Into the Future
L’impatto sulla scena rock melodica scandinava e AOR internazionale dell’omonimo disco di esordio “Alien” fu tanto grande da aver lasciato la band svedese impressa nella memoria e nel cuore degli amanti del genere, nonostante una carriera che non può essere propriamente definita sfavillante.
Gli episodi più salienti nell’attività ultratrentennale della band possono essere indicati nel piazzamento al primo posto della swedish chart per tre settimane (maggio-giugno 1988) della cover di “Only one woman” (brano del duo inglese The Marbles, scritto dai fratelli Gibbs) e la partecipazione con “Brave New Love” alla colonna sonora del remake di “The Blob” (film horror fantascientifico, in cui un’arma biologica, spedita nello spazio, ripiomba sulla terra per diffondere il panico sotto forma di gelatina che ingloba e digerisce esseri umani).
La storia della band, caratterizzata da continui rimpasti dei suoi componenti, sino alla reunion con i membri originari nel 2010, circostanza che ha minato la possibilità di creare un sound capace di renderli immediatamente riconoscibili, ha visto l’alternarsi di autorevoli conferme e clamorosi passi falsi.
“Into the future”, che si caratterizza per una maggiore apertura a sonorità heavy rispetto al passato, registrato in vari studi, traghetta ai nostri giorni gli Alien, che si presentano come trio con Jim Jidhed alla voce, Tony Borg alle chitarre e Toby Tarrach alla batteria.
Prima di passare all’esame dei singoli brani che compongono l’album, molti dei quali di buon livello compositivo, appare doverosa una considerazione generale.
Si avverte sin dalle prime note che qualcosa non è andato per il verso giusto in fase di missaggio e post produzione, atteso che il suono risulta poco dinamico, in alcuni episodi addirittura ovattato, e anziché valorizzare la voce di Jidhed, non immune dai guasti inesorabili del tempo, la affossa, appiattendo, al contempo, le prestazioni di tutto rispetto di Borg e di Tarrach e pregiudicando il risultato complessivo.
Apre il riff heavy di “You Still Burn” il cui refrain conquista. Un assolo strappamutande sembra introdurre una ballad, ma “Night of Fire” si rivela, invece, trascinante brano epico, condotto su una linea celtica. Anche “War Scars” e “Time Is Right”, dal sapore tipicamente eighties, non dispiacciono e presentano validi assoli di chitarra. “What Are We Fighting For” è un solido pezzo hard rock che conduce alla titletrack “Into the future”, con intro da risveglio nei campi elisi e assolo giocato su un tema orientaleggiante.
“Freedom Wind” apre la seconda parte dell’album che vede prevalere l’AOR e in cui il missaggio, alla buonora, rende giustizia alla band.
“Really Wheeling It”, “Fallin’ Way Down” e “In Her Eyes” sono tracce gustose, nonostante richiamino gli stilemi dei conterranei Europe.
Il brano conclusivo “Children”, in cui la voce di Jidhed è accompagnata, nella parte iniziale, esclusivamente dal piano, che avrebbe dovuto segnare il momento più emotivo dell’album, si affloscia irreparabilmente e sembra interpretato, in stato di malinconia etilica, da Herschel Shmoikel Pinchas Yerucham Krustofski, in arte Krusty il Clown, dei Simpson.
Sulla stessa via la soporifera bonus track “Something’s Wrong” che riassume il giudizio sull’intero album: qualcosa, purtroppo (e ancora una volta, sebbene non per diretta responsabilità della band), è andato storto…