Recensione: Into The Glorious Battle
Nel lontano 2002 ordinai il primo album dei Cryonic Temple (“Chapter I“) direttamente alla nostrana Underground Symphony e da allora ho regolarmente acquistato i dischi del combo svedese. Cinque titoli spalmati in tre lustri; la media matematica porterebbe a dire uno ogni tre anni precisi precisi e invece sarebbe tutta sballata, poiché dal 2002 al 2008 i nostri hanno pubblicato a nastro, per poi arrestarsi e lasciar trascorrere ben 9 anni prima di dare alla luce il qui presente “Into The Glorious Battle“. Pensate anche voi quello che penso io? Esatto, gran cambi in formazione, al punto che il solo Esa Ahonen è rimasto alla chitarra. I 4/5 della band sono mutati. Siamo praticamente davanti ad un altro gruppo. Suppergiù lo stesso era già accaduto nel passaggio tra “In Thy Power” (2005) – che ancora conservava intatta la line up degli esordi – e “Immortal” (2005). Quello è stato il vero momento “traumatico” in seno ai Cryonic Temple, il momento nel quale Ahonen ha preso definitivamente (ed irrimediabilmente) le redini della creatura di Borlänge.
Fino ad allora i Cryonic Temple si erano caratterizzati per essere una una power metal band amante di up-tempos con doppia cassa ad elicottero da contrapporre a rocciosi mid-tempos tetragoni e visceralmente metallici. Gran cerimoniere, il vocalist Glenn Metal (intenzioni bellicose evidenti sin dal nomignolo), dotato di una voce che magari non faceva gridare al miracolo nessuno ma dal carisma, dal vigore e dalla personalità di tutto rispetto (del resto accade qualcosa di simile anche con le ugole degli Udo Dirkschneider o dei Brian Johnson, per fare due esempi). I Cryonic Temple, pur dedicandosi ad un genere iper inflazionato (il power metal di stampo prettamente post helloweeniano), erano in grado di ritagliarsi il proprio spazio con le unghie e coi denti, fierezza e determinazione (leggi: a colpi di album meritevoli, contenenti canzoni sempre gradevoli e trascinanti, ancorché non originalissime). Con “Immortal” il dna del gruppo prende una piega diversa. Non che i Cryonic Temple si mettano a fare crossover o nu metal, affatto; tuttavia il power metal emanato dai loro strumenti perde progressivamente il lascito marcatamente ottantiano, per assestarsi su coordinate più anni ’90. Una maggiore evidenza delle tastiere, ritornelli estremamente più zuccherosi e stucchevoli, un sapore di plastica che intossica l’ascolto, una patina appiccicosa che elimina del tutto le ruvide zigrinatature del passato.
Un pochino i Cryonic Temple si “ammodernano”, mantenendo il baricentro nel power metal con la doppia cassa, ma spersonalizzando ulteriormente il proprio profilo. Se prima il Tempio Criogenico era una delle tante (ottime) band di derivazione helloweeniana, oggi siamo al cospetto della miliardesima band fotocopia di qualche altra contenente il lemma, Fire, Steel, Crystal, Dragon o Evil nel proprio monicker. “Into The Glorious Battle” è un album dalla copertina ricchissima (un concept per altro), dalla produzione assai curata ma dalla scaletta banale ed anonima. Un album uguale ad un’infornata di altri album appartenenti all’orticello del power metal senza pressoché nessun tratto distintivo ed identificativo, nonché interscambiabile tra questi e quelli. Mattias L. alle vocals paradossalmente ha un range vocale persino più ampio del precedente Glenn Metal, tuttavia non riesce ad infondere nemmeno il 10% dell’intensità e della virilità che il vecchio leone metteva nelle sue interpretazioni. “Into The Glorious Battle” non è un disco che sfigura con la coeva produzione power metal, anzi, semmai è vero il contrario, è totalmente, assolutamente inserito in quel solco, in modo sostanzialmente inestricabile ed indistinguibile; il che significa che potrebbe non dispiacere affatto ai più sfegatati amanti e coltivatori dell’universo power. Il punto è che, per quanto mi riguarda, i Cryonic Temple sono diventati una band uguale a mille altre, omologata, insapore, standard. Se questo era l’obbiettivo della loro “maturazione”, il piano è drammaticamente riuscito. Io però credo che li abbandonerò definitivamente qui; dopo “Immortal” mi ero ripromesso di offrire loro una seconda chance, a questo punto il dado è tratto.
Marco Tripodi