Recensione: Into The Grave
La Germania (e territori limitrofi) è sempre stata una terra importante per lo sviluppo di tutto l’heavy metal. In questa terra erano nati Kreator, Destruction e Sodom, le tre band tedesche che hanno reso il thrash metal una realtà anche in Europa, così come Grave Digger, Helloween e Running Wild sono stati fondamentali per la maturazione dell’heavy metal classico.
Loro si chiamano Gravety e si trovano alle prese con il primo capitolo in studio intitolato “Into the Grave”, un full-length molto particolare da loro definito come “thrash ‘n’ doom metal”. Il thrash/doom, ci terrei a sottolineare, sta trovando terreno fertile soprattutto in Europa nell’ultimo decennio. Nel Regno Unito si sono formati i pionieri di questo genere, ossia i Seventh Angel, mentre proprio in Germania hanno avuto un discreto successo gli Absolom, che ormai non sono più attivi da svariati anni. Il quintetto tedesco si è formato a Saarbrucken nel 2009 ed ha avuto un buon successo con questo album distribuito dalla Source of Deluge Records, cosa che ha permesso al gruppo di suonare accanto a nomi importanti come Powerwolf e Orden Ogan e di affiancare in tour Messenger e Godslave.
Quello che si presenta è un disco suonato con tantissima passione: i cinque teutonici sono sicuramente cresciuti con “pane e metal”. La pecca principale è sicuramente la mancanza di originalità, a dispetto della non convenzionalità della proposta e la provenienza, come detto in apertura, da una nazione che è sempre stata in prima linea quanto a “pionierismo”. Le influenze sono talmente tante quanto palesi: heavy metal di stampo classico (Iron Maiden, Manowar), thrash (Metallica, Overkill), doom (Candlemass) e death metal (Grave, solo una coincidenza?). Le canzoni sono facilmente memorizzabili, anche se i passaggi sono troppo prevedibili. La struttura delle canzoni pare copiata dalle band precedentemente citate e i riff sono molto simili fra loro. Laddove l’album potrebbe emergere tende a deludere, anche a causa di arrangiamenti non molto azzeccati. Molto buona è la prova del batterista Lukas Didion, che ci sa fare con la doppia cassa, l’esecuzione del basso e delle chitarre è coinvolgente anche se non molto tecnica. La voce di Kevin Portz è pulita e limpida anche se forse ricorda troppo quella di Messiah Marcolin e, stranamente, di Serj Tankian.
La tracklist è troppo omogenea e la parte centrale è un minestrone denso difficile da digerire in circa 45 minuti di platter. Sicuramente le prime cinque canzoni non annoiano, ma si fatica ad arrivare all’ultima tutto d’un fiato. Le “killer tracks” non mancano, comunque. La migliore del lotto è senza ombra di dubbio la seconda “Stroke of Fate”, dal ritornello ultra-epico e facilmente memorizzabile; più volte questa traccia mi ha fatto battere i piedi a tempo o muovere la testa. Le altre canzoni degne di nota sono “Decay of Life” e “Judge Your God”, quest’ultima molto “In-your-face” e thrashy. Purtroppo dalla quinta traccia in poi l’attenzione comincia a calare. La delusione della tracklist è proprio la title-track, lenta e noiosa, che assieme ad “Asylum” costituisce un vero e proprio mattone. Unica bella canzone della seconda metà del disco è “Axe of Execution”, che riesce a concludere in maniera positiva il disco.
Riassumendo, “Into the Grave” è un lavoro pieno di passione e voglia di suonare, molto orecchiabile e apprezzabile, che però non è esente da difetti fin troppo evidenti, quali il songwriting poco impegnato, l’eccessiva omogeneità delle tracce e la combinazione voce pulita/growl, che può essere migliorata. Con un po’ di pratica però i cinque teutonici potrebbero migliorare molto e guadagnare una piccola schiera di fan in più da tutta l’Europa. Se non avete pazienza o non vi piace molto il doom metal potreste non apprezzare il lavoro, ma se siete “onnivori” e vi affascina la proposta del gruppo tedesco allora questo disco fa per voi.
Francesco “Manthas” Brocca
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