Recensione: Into The Great Unknown
Ed ecco arrivare il secondo capitolo per gli svedesi Starchaser, capitanati dal chitarrista Kenneth Jonsson. Dopo aver lasciato i Tad Morose, Jonsson decide di realizzare un’album solista raccogliendo attorno a sé, musicisti d’esperienza come il cantante Ulrich Carlsson (ex M.ILL.ION), il bassista Örjan Josefsson (Cibola Junction), il tastierista Kay Backlund (Lions Share, Nils Patrik Johansson, Impera) ed il batterista Johan Kulberg distintosi con nomi quali Wolf, Therion ed Hammerfall.
Una squadra di buon livello nella quale si è creata una sorta di chimica vincente, tant’è che il sodalizio, viene subito promosso da progetto solista a band in piena regola, arrivando nel 2022 a esordire con l’album omonimo. A due anni di distanza ecco arrivare il secondo capitolo Into the Great Unknown, edito sempre da Frontiers sotto la supervisione del produttore Roger Bergsten. La formazione all’opera rimane la stessa del debutto, proponendo come genere un heavy/power moderno costruito su suoni pesanti ed un cantato particolarmente attento alla melodia.
Dopo un brevissimo intro, ci addentriamo subito nella title track, un pezzo con la potenza delle chitarre che va a braccetto assieme alle melodie vocali di Ulrich Carlsson. Battalion Of Heroes presenta le stesse caratteristiche, mostrando però un volto più cupo fino all’arrivo di un ritornello arioso. Su Who Am I si fa ricorso a dei brevi inserti sinfonici posti ad inizio e conclusione del pezzo, lasciando la parte centrale a solidi riff di chitarra. One By One inizia con una tastiera dal retrogusto industrial-goth ed una chitarra dal suono poderoso per poi esplodere in un’orecchiabile ritornello in stile hard rock.
Shooting Star alterna strofe cadenzate ad un solito ritornello di facile ascolto, con le tastiere che di tanto in tanto emergono ad affiancare i riff di Jonsson.
Pare evidente che lo schema di Kenneth Jonsson sia quello di giocare con la dualità fra riffing corposi dal gusto moderno, abbinati alle melodie dell’hard rock più easy listening. Il tutto addobbato con le vesti di un power prog contemporaneo.
Procedendo con l’ascolto però, bisogna ammettere che si comincia a percepire un certo senso di routine compositiva, sensazione che non svanisce nemmeno nella seguente Under The Same Sky, nonostante si provi ad aggiungere un’elemento in più con un po’ di epicità. Anche The Nightmare King raccoglie tutti gli elementi fin qui ascoltati, con una buona prova tecnica da parte della band ma senza particolari sorprese.
The Broken Empire non cambia di molto le carte in tavola proponendo ancora melodie di facile ascolto affiancate a ritmiche granitiche. War Is A Bad Place For A Good Man prova ancora ad aggiungere una certa epicità accompagnata da leggeri echi seventies. Un suono tetro di tastiera introduce A Time Of Steel, un pezzo ordinario ben confezionato. In chiusura Far From Home, una traccia che consiste in un assolo di chitarra con un sottofondo di tastiere che funge praticamente da outro.
Into the Great Unknown ci presenta certamente una band di esperienza e tecnicamente preparata ed il voler creare una connessione tra suoni potenti ed un cantato vicino al melodic metal, nel contesto funziona. Il disco presenta validi spunti, ma nonostante tutto, non riesce a fare il botto decisivo. Alle composizioni manca quel qualcosa in più, quell’idea vincente che riesca, se non a sorprendere, almeno ad attirare l’attenzione dell’ascoltatore. Come se gli Starchaser avessero dei buoni argomenti, ma non riuscissero a trovare le parole giuste per esprimersi al meglio. In tutto questo poi non aiuta una produzione non sempre impeccabile, che tende un po’ ad appiattire il tutto.
Il salto di qualità da fare è alla portata degli Starchaser. Ma attenzione, perché la fossa dell’oblio è proprio lì sotto, e scivolarci dentro può essere un attimo.