Recensione: Into The Red
Quando si parla di death metal inizialmente si pensa a un genere che non muterà mai, che rimarrà sempre in quel territorio orrorifico e sanguigno, dal riff più tagliente al cantato più straziante. Ma con il passare del tempo abbiamo avuto la prova che ci sono band da tutto il mondo che hanno cercato di sradicare e plasmare continuamente il genere death aggiungendoci nuove influenze che a un primo ascolto non sembrano convenzionali. Prendiamo per esempio il terzo lavoro death-fusion dei Pestilence Spheres, oppure quando spuntarono per la prima volta i Cryptopsy, o ancor meglio le nuove leve del death-tech moderno Obscura, Beyond Creation e Fallujah… Ecco, con il passare delle decadi molte band hanno avuto la consapevolezza che si può in qualche modo trasformare a proprio piacimento il genere mantenendo i propri elementi tradizionali. Lo fanno anche i nostrani Disease, attivi dal 1994: con l’ultima fatica, Into The Red, cercano di sviluppare un suono più distintivo e personale, fino a incorporare elementi progressive e post metal, senza mai dimenticare le radici nel metal estremo. Un disco tematico, che affronta argomenti come le divisioni, i pregiudizi verso le persone a noi estranee e tutte le sofferenze che l’Uomo ha e crea. Una mancata visione del futuro nata dall’ignoranza, dalla rabbia e dalla sfiducia, oltre che dal continuo porsi dei limiti miopi e da una costante strumentalizzazione politica.
Into the Red racconta proprio questo e l’iniziale “Mirror’s Edge” apre questo abisso con elementi post metal, per poi passare a situazioni più tradizionali death/thrash e riff che rimandano brevemente al black. “Nemore Dianae” con il suo sound anni ‘70/’80 è in parte un salto nel passato del mondo dell’hard rock sempre influenzato però dal death, mentre le seguenti “Lucid Hallucination” e la title-track (lunga ben dodici minuti!) sono puro sfogo creativo e “immaginifico”, partendo da tutto quello che il genere può offrire. Ascolto consigliatissimo.
Fanno da padrone influenze alla Venom in “Invisible Martyr”, pezzo con una sezione centrale dal feeling più intimo e introspettivo, mentre “I, The Visionary” vi stupirà a metà con parti in italiano, ma nel complesso è un brano accattivante che conquisterà i deathster più intransigenti. “The Lake In The Winter” smorza completamente l’ascolto del platter donando un approccio più riflessivo, romantico ed epico, si tratta indatti di una semi-ballad cantata dall’ospite Valeria Dori, che regala una performance vocale di tutto rispetto.” My Long Journey”, infine, è la bonus track che conclude questo vortice sonoro impregnato di tanta cattiveria metal ma che si concede spazio anche in territori che si discostano anni luce dalla scuola canonica di riferimento.
Sommando il tutto, Into The Red è un disco che ci crede abbastanza, che porta all’ascoltatore la tradizione, ma con delle aggiunte che arricchiscono il sound complessivo. Un album che di base è death, ma fuso con il prog, il rock settantiano, il post metal, elementi un po’ più ambient e strizza l’occhio a delle parti più solistiche (quasi Guitar God per intenderci). Non abbiate paura, i Disease dopo 27 anni di carriera sanno il fatto loro, e sicuramente hanno tutte le carte in tavola per dimostrare che la violenza, anche quella più studiata, esiste anche in Italia.