Recensione: Introduce Yourself
Correva l’anno 1987 nel quale i Faith no More diedero alla luce il loro secondo full-lenght intitolato “Introduce Yourself”. Le caratteristiche “destabilizzanti” presenti nel loro album d’esordio vengono in questa sede accentuate e migliorate, con l’aggiunta di un perfezionamento nella cura dei suoni e dell’esecuzione dei nostri, grazie soprattutto all’esperienza maturata negli anni trascorsi tra le due uscite e all’intensa attività live dei nostri. Se nel primo album potevamo annotare una potenza di suono non pienamente sfruttata a dovere, in questo disco le cose cominciano a farsi serie. Si parte con “Arabian Disco“, la quale presenta una caratteristica successivamente ripetuta dai nostri, cioè porre una canzone in apertura che cominci subito in maniera deflagrante. Il brano risulta accattivante, grazie soprattutto al chorus molto orecchiabile e a quegli arrangiamenti “tipici” dei nostri che vedono contrapporsi pesanti riff di chitarra a tappeti di tastiera molto “ariosi”. “Anne’s Song” suggella quanto detto in precedenza, accentuando il lato “rap” dei nostri. La title track invece è un divertentissimo nonché trascinante episodio pregno di quella folle genialità che i Faith no More hanno regalato al mondo. Un brano di un solo minuto e trenta secondi che quando comincia a farci muovere il sedere grazie a quel suo martellante andamento si interrompe bruscamente, lasciandoci increduli. GENIALE!!! Altra song di grande valore è la seguente “Chinese Arithmetic“, ritenuta da me una delle più belle canzoni mai partorite dai Faith no More. Un pezzo che alterna una strofa quasi da ballad ad un refrain trascinante e incazzato, con un intermezzo rappato molto azzeccato. Grandissimo Mike Bordin e Bill Gould che si confermano spettacolare sezione ritmica.. “Death March” è un pezzo durissimo, dove si sente l’influenza del chitarrista Jim Martin. La seconda parte del disco è aperta con una nuova versione del loro “classico” “We Care a Lot“, riregistrata in una veste più dinamica e pesante e a mio parere più efficace. Volevo infine segnalare la strepitosa e divertentissima “The Crab Song” un brano che funge da anticamera per la futura e altrettanto valida “Zombie Eaters”. Si parte con un arpeggio dolcissimo accompaganto da un tappetto di tastiera anch’esso molto dolce, per poi deflagrare in tutta la sua folle potenza. Un vero must per chiunque. Questo disco è una vera e propria miniera di idee, che successivamente ha portato i nosti a comporre il loro album più famoso, quel “The Real Thing” legato a doppio filo con questo album, nel quale possiamo trovare moltissime caratteristiche che faranno la fortuna del suo successore e di tutto il genere crossover e Nu-Metal (Anche se a dire il vero, ritengo quest’ultimo genere una pallida, sbiadita e maldestra riproposizione di certe trovate.). A dire il vero in questo disco, come nel precedente v’è una nota stonata che non ho mai gradito, e mi riferisco alla voce di Chuck Mosley, il quale fortunatamente per noi fans, venne allontanato dal gruppo dopo questa uscita a causa delle sue scarse doti vocali e di certi presunti “abusi alcolici”, il tutto a favore dell’entrata di quel grandissimo genio/istrione/mattatore che è Micheal Patton. Ma questa si sa, è un’altra storia. Ma una domanda mi è sempre rimbalzata nel mio folle e microscopico cervellino… Ma se i Faith no More avessero riregistrato i loro primi due album con Mike Patton alla voce? Meditate gente… Meditate!!!
Tracklist:
1. Faster Disco
2. Annie’s Song
3. Introduce Yourself
4. Chinese Arithmetic
5. Death March
6. We Care a Lot
7. R N’ R
8. The Crab Song
9. Blood
10. Spirit