Recensione: Invasion Of The Tentacube
Stalagmiti di odio sono sputate, d’improvviso, dalla nuda terra. Lapilli di tecnica che si sporcano di polvere e che vengono espulsi verso l’esterno grazie ad una passione di vetusta memoria.
Così, in poche righe, vi abbiamo presentato la prima fatica in studio degli statunitensi Xoth, “Invasion Of The Tentacube”. La band, composta di artisti provenienti dall’underground, è un conglomerato di molteplici influenze. Il full-length si muove nel death/black metal, ma non si ferma certo qui, e si arricchisce di un dinamismo che potremmo definire tranquillamente progressive/thrash. A tutto questo aggiungiamo delle ambientazioni di matrice epic, ancestrali presagi in molteplici istanti dell’album, il cui scintillio ci lascia a bocca aperta.
Un’aurora di atmosfere si manifesta abbagliandoci, archi alimentati dal passionale sole degli Xoth. Tanta old school, ma anche altrettanta personalità per l’intrecciarsi di elementi variegati, continui cambi di tempo e inaspettati sviluppi. La componente black mostra quella gelida sensazione di mestizia che continua a soffiare come vento invernale, impreziosendo ed evolvendo l’epica del disco.
C’è molto thrash vecchia maniera nella resa dei suoni, uno scarno avventore che di volta in volta si palesa di fronte a noi e ci riporta con la memoria ai primi anni ottanta. D’improvviso, poi, le note si vestono di una cupa armatura, perdendosi ai nostri occhi in una bufera. Chitarre di matrice heavy sono raggio di sole che mostra la via e le intenzioni degli artisti: lasciarsi andare, senza darsi confini o strutture preconfezionate.
L’equilibrio che si viene a creare in “Invasion Of The Tentacube” è notevole, filo conduttore ideale tra filoni che di certo non scoprono gli Xoth, ma che sapientemente vengono mesciuti.
Il full-length in analisi è il primo di, auspichiamo, una lunga serie di lavori discografici. Le premesse per un’eventuale crescita ci sono tutte: tecnica, passione e personalità. Per ora nulla viene rivoluzionato, sia chiaro, ma molti potranno apprezzare un disco di tal fattura, ben suonato e intriso di un’epica rara ormai in questi contesti.
Ci piacerebbe ascoltarli con una produzione maggiormente al passo coi tempi, per vedere così evidenziato ancor di più l’aspetto atmosferico dell’album. Non vogliamo muovere alcuna critica, è giusto precisare, ma porre l’accento su talune sfumature potrebbe creare un misticismo e un fascino a cui poi sarebbe arduo resistere.
Stefano “Thiiess” Santamaria