Recensione: Invisible Queen
‘A volte ritornano’ è il titolo di un famoso racconto di Stephen King pubblicato a metà degli anni ’70. Il protagonista del racconto, convinto di aver seppellito nelle sabbie del tempo i demoni del suo passato, li vede tornare alla carica per tormentarlo come se non fosse trascorso nemmeno un giorno. Dal nostro punto di vista di incalliti thrashers, invece, certi ritorni non sono per nulla sgraditi, anzi: sono ben accetti e addirittura attesi con trepidazione. La nuova discesa in campo degli Holy Moses fa parte senza dubbio di questa seconda categoria. “Invisible Queen”, dodicesimo album in studio pubblicato dalla band, rappresenta anche l’ultimo capitolo della storia degli Holy Moses, stando alle dichiarazioni rilasciate dalla leggendaria cantante Sabina Classen. Non a caso il titolo dell’album, con il suo evidente richiamo al primo full length del gruppo, “Queen of Siam” del 1986, chiude ‘ad anello’ la narrazione dei tedeschi, evocando nuovamente l’immagine di una minacciosa regina nella bella copertina. La ‘regina invisibile’ illustrata nella copertina di “Invisible Queen” siede su di un trono ornato di ragnatele e teschi, quasi a voler simboleggiare proprio l’inesorabile passare del tempo: la nascita degli Holy Moses infatti risale al 1980, mentre l’occupazione del microfono da parte di Sabina Classen, all’epoca ancora Sabina Hirtz, avverrà nel 1981. Parecchie cose sono cambiate nei 40 anni abbondanti di storia del gruppo: l’attuale e moderno Thrash Metal proposto dalla band, ricco di tecnica e creatività, è il frutto di molti cambi di stile e ardite sperimentazioni che hanno contraddistinto il lungo percorso degli Holy Moses. “Queen of Siam” presentava ai fan un Heavy/Speed con più di un piede (pardon, uno zoccolo…) nella cosiddetta ‘prima ondata’ del Black Metal, come si può capire anche dai titoli degli iniziali demo della band: il primo “Black Metal Masters”, ad esempio, o il terzo “Satan’s Angel”. Già dal secondo full-length, l’ottimo “Finished with the Dogs”, le forti influenze Speed di “Queen of Siam” si evolvono in un Thrash feroce e tiratissimo. Queste novità non snaturano però il sound del gruppo, caratterizzato da una malignità di fondo sorretta con efficacia dalla caustica voce della cantante Sabina, il cui cognome diventa Classen nel 1983 dopo il matrimonio con Andy Classen, chitarrista degli Holy Moses fino al 1994 e tuttora impegnato occasionalmente nelle registrazioni del gruppo.
Il nuovo “Invisible Queen”, pur mantenendo intatte le maligne intenzioni che da sempre infestano la musica del combo tedesco, sembra mettere da parte le sonorità Thrash ‘classiche’ del gruppo, egregiamente tramandate da opere come il cattivissimo “Terminal Terror” del 1991, il valido EP “Master of Disaster” del 2001 e i discreti “Strength Power Will Passion” e “Agony of Death”, pubblicati rispettivamente nel 2005 e nel 2008. Anche le derive Groove/Death di “No Matter What’s the Cause” del 1994 rimangono confinate alla loro epoca, per la gioia di chi non ha mai digerito le audacie musicali dell’unico disco che non vede Sabina Classen stabile al microfono, sostituita per l’occasione dal marito in 12 brani su 13. I fan degli Holy Moses si accorgeranno presto come “Invisible Queen” prenda principalmente le mosse dalla produzione più recente della band. I 12 brani del disco ci investono con un Thrash Metal piuttosto elaborato, screziato di echi Heavy e valorizzato da una produzione sufficientemente ‘pulita’ e all’altezza della situazione. Questi elementi avvicinano molto l’album al precedente “Redefining Mayhem“, che pur essendo stato pubblicato nel 2014 condivide con “Invisible Queen” molte caratteristiche. I due album condividono anche la medesima formazione, il che può stupire chi segue la band da molti anni. È infatti lunghissima la lista di musicisti che vantano nel loro curriculum una collaborazione più o meno prolungata con gli Holy Moses, in una continua girandola di cambi di line up che sarebbe degna di un articolo a parte. Mi limiterò a menzionare il batterista Uli Kusch, che dopo il suo passaggio negli Holy Moses a fine anni ’80 verrà incluso tra le fila di Gamma Ray, Helloween e Masterplan, e nientemeno che Dan Lilker, polistrumentista noto ai più per aver militato in ‘gruppetti’ come Anthrax, Nuclear Assault e Brutal Truth. L’elenco di collaborazioni eccellenti, se possibile, viene ulteriormente arricchito con la pubblicazione di “Invisible Queen”. Esiste, infatti, un’edizione dell’album particolarmente gustosa composta di ben due dischi: nel ‘disco 1’ i futuri acquirenti troveranno la tracklist ‘regolare’, con Sabina Classen dietro al microfono in ogni brano. Nel secondo disco, invece, le linee vocali dei 12 brani vengono affidate ad altrettanti vocalist ‘esterni’ alla band, eccezion fatta per Chris Staubach, già cantante dei Courageous e presente come ospite nel succitato “Redefining Mayhem“. Riconosciamo alcuni personaggi arcinoti: Andreas ‘Gerre’ Geremia dei Tankard, Bobby ‘Blitz’ degli Overkill, Jens Kidman dei Meshuggah e Tom Angelripper, epico frontman dei Sodom. Incrociamo poi nomi meno altisonanti ma non per questo meno talentuosi, come ad esempio Leif Jensen, voce degli ormai sciolti Dew Scented, e Ingo Bajonczak, cantante degli Assassin che abbiamo apprezzato nei primi due album dei Bonded. Gli Holy Moses hanno inoltre arruolato cantanti poco conosciuti ma ben selezionati: scorrendo la line up di questo ‘disco 2’, tanto per fare due fra i molti esempi, ho letto per la prima volta i nomi di Rægina, cantante del gruppo Black Metal tedesco Dæmonesq, e Marloes Voskuil, biondissima voce femminile della band Death/Black olandese Haliphron. Perché soffermarsi così tanto su questa versione del disco alternativa, in cui una ‘sporca dozzina’ di cantanti provenienti da mezzo mondo si sostituisce alla titolare del microfono degli Holy Moses? Detto molto francamente e con il massimo rispetto possibile: uno dei pochi punti deboli di “Invisible Queen” è proprio la voce. Niente di troppo grave, sia chiaro, ma talvolta l’ugola di Sabina Classen sembra essere un tantino giù di corda. Durante il primo ascolto esplorativo dell’album mi è subito venuto in mente un termine utile per descrivere la voce della Classen: stanchezza. Ci tengo però a ribadire ciò che ho appena scritto: niente di troppo grave. Il mitico scream di Sabina Classen si è sempre contraddistinto per essere graffiante, perfido e abbastanza demoniaco da rendere convincente la proposta musicale degli Holy Moses. Va riconosciuto, tuttavia, come negli ultimi anni la voce di Sabina Classen risulti un po’ più’ debole rispetto a due o tre lustri fa. E’ sufficiente andare a godersi qualche bella registrazione live degli Holy Moses, facilmente rintracciabile online, per accorgersi di questa naturale involuzione nella vocalità della gloriosa Sabina. Ciò detto, la scelta di mettere in circolazione una versione del disco senza Sabina Classen assume una luce ben diversa rispetto al semplice desiderio di viziare i fan con una succulenta special edition.
In ogni caso, nulla di tutto questo potrà intaccare la bontà della proposta musicale garantita da “Invisible Queen”. I 48 minuti richiesti per una riproduzione intera dell’album scorrono velocemente, lasciando il palato degli appassionati desideroso di replicare più volte l’esperienza. Dopo un paio di giorni di ascolti sarà difficile non canticchiare i ritornelli di “Cult of the Machine” e della title-track “Invisible Queen”, impossibili da dimenticare sin dal primo passaggio nelle casse dei nostri HI-FI. Si percepisce ogni tanto qualche calo di tensione, sarò sincero, ma si tratta di rare eccezioni in un disco che in linea di massima si attesta su buoni livelli di tecnica e ricchezza espressiva. Brani un po’ insipidi come “Alternative Reality” e “Too Far Gone” vengono controbilanciati dalle abbondanti mazzate distribuite da “Downfall of Mankind”, “Outcasts”, dall’ultima “Through the Veils of Sleep” e soprattutto dalla delicatissima “Visions in Red”, probabilmente la canzone più aggressiva ed estrema di tutto il lotto. Consiglio vivamente a tutti gli interessati di rintracciare l’edizione ‘a due dischi’ di “Invisible Queen”, in modo da poter assaporare l’album in tutte le sue varianti. In qualche brano la prestazione di Sabina Classen non vi esalta come vorreste? No problem: passate al disco 2, individuate la medesima traccia e ritentate. Vi garantisco che le sorprese non mancheranno. Se è vero che la produzione in studio degli Holy Moses finirà con “Invisible Queen” possiamo comunque ritenerci fortunati: si tratta di un addio sicuramente positivo, capace di rendere giustizia ad una band pressoché incapace di deludere i suoi seguaci. Buon ascolto a tutti!