Recensione: Invisible, The Dead
Dall’Australia “con amore” per il Power Metal arrivano i Damnations Day: ad annunciarne l’esistenza, è “Invisibile, The Dead”, interessante esordio uscito per Nightmare Records.
Nove tracce compongono un album che, in poco meno di quaranta minuti di musica, mostra una band determinata e sicura delle proprie capacità tecniche, per un risultato finale piuttosto interessante.
Accompagnato da una produzione moderna e cristallina, il platter esplode con la potenza del Power più classico e lineare, racchiusa nella riuscita opener “Invisibile, The Dead”. La band dimostra da subito di saper unire ai potenti riff chitarristici – inanellati dai bravi Jon King e Mark Kennedy – le orecchiabili trame melodiche, orchestrate dallo stesso Kennedy (anche vocalist del quartetto) che confluiscono in un refrain riuscito e ben articolato.
Senza mai offuscare la componente melodica, il combo australiano alterna spietati riff granitici a passaggi arpeggiati, oscuri e decadenti, in grado di rendere il tutto molto dinamico: una ricetta perfettamente esplicata nella bella “The Meaning”, gelida, trascinante e contraddistinta da un guitar solo acustico, incastonato in un intermezzo strumentale di ottima fattura.
La sezione ritmica devastante risulta sempre in prima linea sulle note della feroce “I Am”, durante la quale il gruppo si diverte a contaminare il proprio sound con dilanianti riff di matrice Thrash, sui quali si staglia l’ugola straziante del bravissimo vocalist, protagonista di un’interpretazione di primo livello che anticipa una serie di parti soliste ottimamente eseguite dal già menzionato Jon King.
Il combo proveniente dalla terra dei canguri continua a macinare riff e melodie corpose che costituiscono la spina dorsale dell’ottima “Reaper”, un nuovo episodio di ottimo power thrash metal.
Dopo una serie di brani infuocati, anche per i Damnations Day, arriva il momento di addolcire i toni, spezzando così la notevole potenza dell’album: il risultato è la pregevole “A Ghost In Me”, malinconica ballad acustica, di nuovo dominata dalla voce del singer questa volta accompagnata da un inedito ed interessante tappeto orchestrato da una sezione d’archi, molto ben inseriti nel contesto.
Relax limitato nel tempo: il combo può, infatti, ripartire, ritrovando il proprio sound abituale con la melodica “Lucid Dreaming”, nella quale i nostri tornano con successo a martellare le orecchie del fruitore con una nuova sfuriata Power di primo livello.
La potente “Reflections”, ripete nuovamente la formula compositiva dei Damnations Day, che proseguono questa prima fatica con la potente “Carried Above The Sun”, traccia che dimostra perfettamente come la band riesca a destreggiarsi agevolmente anche su velocità più controllate e massicce, alternando ancora potenti riff chitarristici a momenti acustici di sicuro impatto, mentre come sempre, il completamento dell’opera arriva da un perfetto refrain melodico ed orecchiabile.
L’ultima voce in scaletta per questa release è assegnata alle note della rilassante “A World To Come”, che riprendendo le sonorità della già citata “A Ghost In Me”, conclude in maniera superba ed inaspettatamente soft un album che rappresenta un ottimo punto di partenza per il futuro di una band, che si prospetta davvero promettente.
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