Recensione: Io Non So Da Dove Vengo…
Io Non So Da Dove Vengo e Non So Dove Adrò. Uomo è il Nome Che Mi Han Dato è sicuramente uno dei titoli più lunghi che un album degli anni settanta abbia mai avuto. La band che l’ha inciso si chiamava De De Lind e si è formata sul morire degli anni sessanta nella provincia di Varese, rubando il suo curioso monicker a Dede Lind, la playmate di playboy dell’agosto 1967.
Dopo aver pubblicato tre singoli quali Anche Se Sei Qui/Come Si Fa? (1969, Windsor), Mille Anni/Ti Devo Lasciare (1971, Mercury) e Signore Dove Vai/Torneremo (1971, Mercury), il gruppo dà alla luce nel 1973 il suo primo album in studio dal titolo, appunto, Io Non So Da Dove Vengo…, l’ultimo capitolo della sua storia prima dello scioglimento prematuro.
Il disco di esordio dei De De Lind è un album ricercato sia nei testi, sia nella musica, ricco di dettagli e di sfumature che legano i brani l’uno all’altro con un sottile filo conduttore, che trascina con sé l’ascoltatore attraverso diverse scene e diversi momenti musicali e della vita; per questo motivo si può parlare di concept album.
Io Non So Da Dove Vengo… parla del passato e si tuffa nei suoi nostalgici ricordi attraverso lunghi flashback e li snocciola uno per uno attraverso brevi momenti, dipinti dai testi come ritratti, spesso emblematici. In un lungo inseguirsi di pensieri fuggevoli, di sensazioni dalla durata di un istante, di brevi immagini che svaniscono con la stessa rapidità con cui sono apparse, le emozioni delle canzoni colpiscono al cuore con il tepore dei ricordi di infanzia, con l’angoscia e la paura della fine, con la rassegnazione e l’ansia delle cose che non si comprendono e degli eventi che non si possono cambiare. Grande merito della forza di impatto di questo disco va ai testi, particolarmente efficaci e di immediato effetto, scritti in un linguaggio semplice e diretto e in grado di colpire profondamente chi li ascola.
La prima delle sette canzoni che compongono l’album è Fuga e Morte, che si apre con il suono quasi marziale dei timpani, che porta in scena un duetto di chitarre dal timbro piacevolmente ruvido, sui cui si innesta la voce calda e un po’ rauca di Vito Paradiso, accompagnata dalle linee di flauto traverso che, nella loro interazione con le chitarre ricordano molto le sonorità dei Jethro Tull. Il brano è il punto di partenza del concept e si apre con l’immagine di un uomo in fuga in una fortesta, braccato e colpito a morte (“E mentre nell’intrigo di una foresta antica/ il sole si insinuava/ e un raggio mi baciava,/ mi colse il grigio piombo/ di un uomo senza volto,/ cercai di dare un grido,/aaaaaaahhh./ Ma ormai ero già morto”); nell’accompagnare la sua ultima parte la musica diventa più delicata, spariscono le distorsioni ed entrano in scena chitarre acustiche e tastiere.
Con una delicata introduzione flautata inizia un lungo flashback verso i ricordi più lontani di una vita che lentamente si spegne: in un’atmosfera dai suoni in crescendo nasce Indietro Nel Tempo, con i suoi lunghi assoli di chitarra di Matteo Vitolli e i suoi suoni graffianti che si fondono con il timbro rauco di un sassofono, preludio di una piacevole linea di cantato che parla dei ricordi di infanzia e delle storie raccontate intorno al fuoco.
Le atmosfere sognanti e rarefatte dominate da un santur sono l’incipit di Paura del Niente, una canzone molto raffinata, soprattutto per il suo testo, che gioca in modo sapiente con la descrizione quasi fotografica di piccoli scorci di persone e di situazioni (“Ho visto per la strada,/ sporca di coriandoli,/ un ragazzino in maschera dal portamento serio./ E sopra una panchina,/ confuso fra la folla,/ un vecchio che pareva scolpito nella pietra.”), arricchite da contrasti e da colori (“Passava un carro bianco,/ vicino a casa mia/ e nel silenzio greve,/ un lungo scalpiccio./ Da lunghe ciminiere/ si alzava un fumo nero,/ un cane si aggirava/ in cerca di un padrone.”), dove la voce è delicata e i suoni scarni e flautati. La seconda metà della canzone esibisce per contrasto l’anima più energica, sincopata e rabbiosa dei De De Lind, fatta da lunghi assoli che dannzano sulle linee di basso di Eddy Lorigiola e sulla batteria nervosa e ossessiva di Ricky Rebajoli, per sciogliersi nuovamente nel silenzio rotto solamente dal suono del flauto traverso, che apre la strada a un breve intermezzo dall’atmosfera quasi giocosa.
Smarrimento inizia con la furia del flauto traverso, soffiato con violenza, che si mischia alla “voce” di chi lo sta suonando, l’atmosfera è tesa e allo stesso tempo rarefatta, con sfuriate di chitarra e di organo Hammond, in un lungo crescendo strumentale in cui il flauto resta protagonista della scena, accompagnato da chitarre graffianti e da rullate di tamburi. I suoni si rilassano e si fanno più acustiche con l’entrata in scena della voce, abbellita da alcune deboli linee di corno francese, rivive il ricordo del prete chiamato Don Angelo.
Uno dei brani più espressivi e di forte impatto nelle sue atmosfere cupe e dense in una cappa di tensione è Cimitero Di Guerra che, grazie al sapiente uso di suoni ora scarni, ora soffusi e lontani, è in grado di trasmettere una grande carica emotiva. Il connubio tra la drammaticità del testo e la musica minimale e ripetitiva ha un effetto disarmante, mentre l’intervento sporadico di linee di di flauto e di santur danno una grande enfasi alle parole. I testi parlano della guerra e lo fanno nel modo più congeniale del gruppo: attraverso le descrizioni di tanto brevi quanto efficaci immagini (“Cimitero di guerra nel sole,/ bianche croci ricordano l’orrore,/ dove c’era campi di grano,/ tante vite spezzate,/ ma invano.”).
Voglia Di Rivivere porta con sé una sorta di dolce malinconia del tempo che passa e dei momenti brevi, e lo fa usando linee vocali di grande effetto e la leggerezza delle chitarre classiche e acustiche arpeggiate e dei flauti, per poi riprendere le energiche atmosfere del brano di Fuga E Morte, come una sorta di risveglio violento dalla nebbia dei ricordi.
I suoni si fanno più energici e veloci nella breve canzone di chiusura, E Poi, che ripete come testo il titolo dell’album e muore svanendo a poco a poco. Qui tutto, bruscamente, finisce.
Dopo la pubblicazione di Io Non So Da Dove Vengo… il gruppo vide un cambio di formazione con l’uscita del gruppo del batterista Ricky Rebajoli (New Dada, Nuovi Angeli), sostituito da Fabio Rizzato, con cui il gruppo di esibì dal vivo. Dopo lo scioglimento si persero le tracce dei componenti del gruppo, fatta eccezione per il cantante Vito Paradiso, che incise due album da solista, Noi Belli, Noi Brutti nel 1978 e Per Lasciare Una Traccia nel 1980.
Silvia “VentoGrigio” Graziola
Tracklist:
1- Fuga e Morte
2- Indietro Nel Tempo
3- Paura Del Niente
4- Smarrimento
5- Cimitero Di Guerra
6- Voglia Di Rivivere
7- E Poi
Formazione:
Vito Paradiso: voce, chitarra acustica
Gilberto Trama: flauto, sax, tastiere
Matteo Vitolli: chitarra, percussioni, piano, flauto
Eddy Lorigiola: basso
Ricky Rebajoli: batteria, percussioni