Recensione: Iron Scorn
I Legion Of Andromeda sono dei ‘maledetti’.
Mi riferisco a meriti tutt’altro che musicali, o meglio non legati alla musica in primo piano, quanto alle sensazioni che questa suscita: va bene essere giapponesi (un giapponese e un italiano residenti in Giappone, per la precisione) e che a gente come loro bisogna perdonare tutto perché hanno una mentalità che noi occidentali spesso non potremo mai capire. Però questa creazione nipponica che corrisponde al nome di “Iron Scorn” rientra in quei rarissimi casi in cui anche un misero occidentale come me, per di più discreto fan della cultura nipponica a tutto tondo, capirebbe che qualcuno stia a tutti gli effetti cercando di prendermi per i fondelli, oppure stia solamente cercando di far passare il suo infinito egocentrismo strampalato come ‘musica per pochi’.
Purtroppo, scomodare Steve Albini alla registrazione non basta per non farmi dubitare di quel che qui è stato registrato e messo sul piatto: questa volta non ci siamo, per me avete fallito.
Questo disco è un esempio perfetto di come sia possibile tentare di emulare il minimalismo e la ritualità nel peggiore dei modi possibili, andando allo stesso tempo oltre e settando nuovi standard: una drum-machine senza mordente che ripete ossessivamente lo stesso ritmo pseudo-ritualistico a velocità differenti (lo stesso ritmo in ogni pezzo!), sotto un muro di chitarre saturate e vocals di dubbio gusto e logica per me non è musica estrema, bensì è un’estrema rottura di… beh, ci siamo capiti. È anche facile supporre che dietro tutto questo ci sia una scelta artistica ben precisa, un’intenzione musicalmente monocromatica volutamente fine a se stessa, ma non sempre, in musica, certe cose funzionano.
Nella mia umile veste di recensore mi viene assai difficile stabilire quale sia il pezzo migliore del loro, difficile quale sia il momento più emozionante del platter perché qui è tutto un ‘mappazzone’, come direbbe un famoso cuoco televisivo, un piatto insipido mal cucinato e forse solo discretamente ben presentato.
Con ciò mi riferisco alla copertina, minimale come la musica qui presente (che i membri descrivono come ‘primitive metal’ tra le varie definizioni) che tutto sommato nelle intenzioni musicali della band malvagia non è, considerando poi che il disco viene stampato esclusivamente su vinile a tiratura limitata per quanto concerne per i formati fisici (per tutti gli altri ci sarebbe il digital download tramite sito ufficiale, se ne avete il coraggio), il suo comparto artistico regala un discreto effetto in stile ‘musica di nicchia’.
Un qualcosa che però non basta a salvare un disco, come detto esattamente in un altro disco catastrofico da me recensito mesi fa (Fetid Zombie – “Grotesque Creation”): «un libro non lo puoi salvare solo perché ha una bella copertina», e qui lo spettacolo si ripete nuovamente, abusando di trame musicali minimalistiche (anzi, di una sola trama) che vorrebbero essere apocalittiche ed invero si rivelano assolutamente inespressive e noiose, rendendo l’ascolto del disco una vera tortura.
Insomma, un autentico buco nell’acqua.
Come sempre, assegnare voti così bassi non fa mai piacere nella maniera più assoluta, anch’io sono umano e musicista e pertanto so cosa significa registrare e pubblicare un disco, ma in tale situazione sarei anche un recensore e come tale dovrei essere in dovere di dire se una cosa vale la spesa oppure no.
Ah, per concludere non vi ho ancora spiegato perché per me questi tizi sarebbero dei ‘maledetti’: ho sprecato un mese sano della mia vita a cercare del salvabile in questo disco, a cercare di scrivere una recensione decente, senza ricavarne mai un ragno dal buco.
Quindi, che siano ‘maledetti’, scusatemi.
Giuseppe “Maelstrom” Casafina