Recensione: Ironborn
Stuzzicante antipasto questo “Ironborn”, EP d’esordio dell’omonimo gruppo tedesco nato dalle ceneri dei Baremouth e dedito ad un heavy metal ricco e corposo, insistentemente screziato di hard rock e influenzato dai soliti nomi grossi (Metallica, Maiden, Pantera, etc).
Un arpeggio lento e oscuro e una voce dal tono introspettivo introducono “Drifting Away”: pian piano la traccia prende corpo trasformandosi in una cavalcata scattante in cui, tra un riff e un rallentamento molto groovy, si avverte il profumo di Metallica e dei Pantera meno casinisti rielaborati in un’ottica da heavy classico. Il gruppo è in palla e sembra intenzionato a menare le mani, anche grazie a melodie semplici e avvolgenti, una sezione ritmica precisa e azzeccata e una voce che, tra linee pulite e brevi inserti in growl, si rivela giustamente ficcante. Con la seguente “Never Again” si cambia registro: i nostri si buttano sulle melodie più canoniche di un certo hard rock da classifica, confezionando una traccia compatta e scandita che in più di un’occasione mi ha fatto pensare, non so perché, ai primi Nickelback. Ad ogni modo il brano si mantiene sui terreni conosciuti della traccia ammiccante e facile facile, con il classico indurimento in corrispondenza del ritornello salvo poi tornare ai ritmi contenuti da quasi ballata in tempo per il finale, che ci catapulta nella ben più succosa “Your Downfall”. Qui, infatti, fin dall’inizio si respira aria diversa, a cominciare dall’epica introduzione e continuando poi con i riffoni che ne costituiscono la componente principale. La traccia gioca con accelerazioni fulminanti, improvvisi ritorni a ritmi più scanditi e lussureggianti squarci melodici dal sapore trionfale, coronando il tutto con un assolo molto classico ma di sicuro effetto, in parte debitore della lezione della Vergine di Ferro. Nel finale c’è ancora tempo per un’ultima accelerazione che ci conduce dritti dritti alla maestosa melodia la quale, a sua volta, apre la strada all’altrettanto solenne “Dawn of Destiny”, breve strumentale che, però, nei suoi due minuti scarsi dispensa a profusione pesanti dosi di sfolgorante epicità, salvo poi svanire con l’approssimarsi della più stradaiola “The Curse”, in cui i rimandi agli ultimi Metallica si fanno insistenti. Il brano si mantiene su ritmi agili ma non particolarmente frenetici, pur beneficiando di alcune rapide accelerazioni. Il breve rallentamento in corrispondenza con l’assolo prelude all’ultima fiammata e cede presto la parola alla traccia conclusiva di questo breve EP, introdotta dall’annuncio della morte di Ian Kilmister. “Rock‘n’Roll is Dead” vede i nostri tributare il giusto onore ai Motörhead con un brano adrenalinico e dagli spunti punkeggianti, dominato (c’era bisogno di dirlo?) da un basso arrogante e un’attitudine molto in your face ed impreziosito da un assolo molto azzeccato.
In base a quanto sentito da questo EP, accattivante e corposo allo stesso tempo, penso di poter affermare che i nostri tedeschi siano sulla strada giusta per confezionare un album di tutto rispetto: “Ironborn” scorre egregiamente e, nonostante qualche sconfinamento in territori più mainstream che mi ha fatto storcere un po’ il naso, si conferma un prodotto valido e compatto, variegato ma tutt’altro che dispersivo, nonché adatto a tutti i tipi di ascoltatori. Dategli un ascolto.