Recensione: Ironbound
Trent’anni di carriera sulle spalle e non sentirli. Gli Overkill, nel panorama thrash metal e nella sua storia in generale, hanno sempre assunto il ruolo di chi, senza mai sfornare veri e propri capolavori, ha sempre percorso la propria strada, a volte portando a termine il lavoro in modo piuttosto diligente, e in altri casi provando anche a rinnovarsi, senza comunque mai deludere le aspettative. Poche novità quindi, e tanta, tantissima buona musica, grazie soprattutto ad una vena compositiva mai persa in modo netto con il passare del tempo. Così era stato dunque per il precedente Immortalis, e la stessa medesima storia si ripete ancora una volta con il full-length numero sedici, Ironbound, disco forse più “sperimentale” del previsto, ma composto comunque da una band in forma smagliante.
Ironbound non fa di certo eccezione a quanto già detto e, anzi, ci mette di fronte ad una band che non prende la nuova release come una semplice scusa per farsi un bel tour in giro per il globo, riuscendo tutt’ora a stupire per una freschezza compositiva capace di mantenere piuttosto alto il livello delle composizioni. Un disco che, senza snaturare troppo un sound che è ormai un trademark da trent’anni a questa parte, diventa forse più orecchiabile del previsto, lasciando un bel po’ di spazio a soluzioni decisamente più melodiche sia a livello ritmico, sia, soprattutto, a livello vocale. Una direzione musicale che introduce qualche refrain catchy, quindi, il tutto posato su partiture che non perdono nemmeno un decimo della violenza che ha da sempre contraddistinto i lavori del combo statunitense, il tutto con una ciliegina sulla torta che risponde al nome di Peter Tägtgren. Ed è infatti del musicista svedese la firma su di una produzione (realizzata nei suoi Abyss Studios) che, diciamolo, molte volte fa anche miracoli e che, pur fissandosi su quegli standard moderni ormai stra-abusati di casa Nuclear Blast, non perde l’intento di rendere giustizia alla potenza ed alla robustezza del sound degli Overkill.
Già gli otto minuti dell’iniziale The Green And Black basterebbero a riassumere al volo i contenuti di Ironbound: riffing selvaggio delle chitarre a creare un muro di suono invalicabile, una parte centrale più ragionata e, in molti tratti, melodica al punto giusto, e la voce (anch’essa più catchy, in alcuni casi) di un Bobby “Blitz” Ellsworth in forma smagliante che sembra non aver perso nemmeno un colpo nel corso di tutti questi anni di carriera. E potremmo concludere tranquillamente qui, con la consapevolezza di trovarci di fronte ad un disco dove è veramente difficile trovare un qualsivoglia colpo tirato a vuoto. A dir poco devastante la stessa title-track, dalla prima all’ultima nota suonata, compresa una parte centrale che lascia spazio ad un breve interludio più tranquillo, con tanto di chitarre in clean. A seguire una serie di tracce mai scontate e banali, ma capaci di tenere altissima l’attenzione dell’ascoltatore, grazie soprattutto al già citato perfetto bilanciamento fra potenza sonora e melodia, come nel caso degli assalti frontali di Bring Me The Night, o come le varie In Vain, Killing For A Living e The Head And Heart (fra gli highlight del disco); tutti pezzi che, statene certi, non mancheranno di mietere vittime in occasione dei live show.
Un album piuttosto fresco e diretto, quindi, rappresentato da un qualità media decisamente alta e da pochi punti deboli, forse anche nessuno. Ironbound non lascia sicuramente spazio a dubbi: gli Overkill, anche dopo ben trent’anni di onorata carriera, non hanno certo intenzione di mettersi da parte, riuscendo a realizzare un disco che si piazza sicuramente fra le migliori release della band stessa, nonché fra le uscite più interessanti dell’anno 2010.
Angelo ‘KK’ D’Acunto
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Tracklist:
01 The Green And Black
02 Ironbound
03 Bring Me The Night
04 The Goal Is Your Soul
05 Give A Little
06 Endless War
07 The Head And Heart
08 In Vain
09 Killing For A Living
10 The SRC