Recensione: Isolation
Nel fantastico mondo dei fumetti, “I Fantastici 4” è uno dei classici più seguiti e apprezzati dai lettori ed appassionati di tutto il mondo. Nel dettaglio, quattro scienziati, dopo essersi addentrati nello spazio più profondo, ricevono, al termine di un incidente, il dono di prestigiosi super poteri, con i quali giurano di difendere le sorti del pianeta.
Nel magico mondo dell’Adult Oriented Rock, con la semplice ma quanto mai esplicativa espressione “Fantastici Quattro”, si suole identificare un ristretto gruppo di band, indicate dalla maggioranza come i pionieri, i perfezionatori, nonché i veri e propri mostri sacri del genere. Per la precisione, quattro compagini diverse – ma allo stesso tempo accomunate da un successo planetario, oltreché dallo stesso paese di origine, gli U.S.A. – come Journey, Survivor, Foreigner e Toto, dopo essersi fatte le ossa sul finire degli anni ’70, decisero di fare sul serio nel corso del decennio successivo, sfornando numerosi dischi, uno più bello dell’altro, e a dir poco fondamentali per la crescita e la salvezza del panorama rock.
Dei quattro colossi citati, i Toto sono sempre stati indubbiamente quelli più particolari. Influenzati da numerosi generi musicali (come lo stesso nome suggerisce), a cominciare dal blues, passando per il progressive – prepotentemente esploso nella decade precedente – fino ad arrivare a sfumature gospel, hard rock, funky, e, perché no, anche vicine al pop più elettrico, sono riusciti a creare – grazie all’apporto straordinario di interpreti d’eccezione – una miscela unica e vincente, in grado di assicurarsi nel giro di qualche anno i gusti e l’affetto di numerosi fan di tutto il globo, senza dimenticare il consenso, prezioso, della critica.
Nel 1984, dopo già 4 album pubblicati, e soprattutto due anni dopo l’uscita di un capolavoro come “IV” (contenente la famosissima hit “Africa”), la band di Los Angeles delizia il palato dei melodic rockers con il superbo “Isolation”, secondo capitolo di quella che può essere tranquillamente considerata come una ideale trilogia di masterpiece senza, o con pochi, eguali – conclusasi due anni più tardi (dopo “Fahrenheit” del 1986) con lo stratosferico “The Seventh One”.
Indubbiamente, l’alone di magia creatosi attorno a questo lavoro è dovuto anche agli stravolgimenti – in questo caso positivi – di line up. Fuori il pur bravo singer Bobby Kimball (che ha comunque registrato qualche parte in studio), colpevole di aver ceduto troppo agli eccessi offerti dalla vita da rock star, e il dimissionario bassista David Hungate, rispettivamente rimpiazzati (si fa per dire, visto la qualità sopraffina dei subentrati) dall’incredibile ugola di Fergie Frederiksen (Le Roux, Mecca) e da Mike Porcaro, il quale poté così raggiungere gli altri due fratelli già presenti in formazione (Jeff, alla batteria, scomparso poi nel 1992, e Steve, alle tastiere).
Non è un caso, infatti, che il biondo Frederiksen si riveli l’arma vincente di questo raggiante lavoro. Una prestazione superba, la sua, sin dall’iniziale e travolgente duetto con il tastierista David Paich in “Carmen” – oramai una consuetudine in casa Toto, quella di dedicare pezzi a delle belle donne – e dalla seguente (e mozzafiato) “Lion”. Autentico mattatore delle parti vocali, l’energico Fergie si scatena in episodi dal forte richiamo commerciale, ma dotati di grande fascino: “Stranger In Town” (nuovo duetto con Paich), la più rockeggiante “Angel Don’t Cry” – senza dubbio il pezzo più “hard” dell’intero lavoro – “Endless”, la trionfale “Mr. Friendly”, senza dimenticare “Change Of Heart” e la splendida title-track. Nonostante la forte ed accentuata orecchiabilità, la chitarra del master mind Steve Lukather non scende mai in secondo piano, ma interviene con infinita classe ed eleganza nei punti nevralgici d’ogni singolo pezzo, tra una trama di tastiera e l’altra, quasi a voler puntualizzare l’appartenenza ad un genere comunque capace di mostrare grinta ed emanare energia come pochi. Ma è sulla meravigliosa ballad “How Does It Feel” – una delle migliori del gruppo – che Lukather si eleva (come aveva fatto in passato in brani quali “Angela” e “I Won’t Hold You Back”) a ruolo di protagonista, occupandosi (egregiamente) della voce principale. Anche il già citato Paich ha il suo personale momento di gloria: la conclusiva “Holyanna”, dal forte sapore di rock ‘n’ roll anni ’50, vede, infatti, il tastierista occuparsi (degnamente) anche delle parti vocali oltre a quelle di competenza.
Senza timore di smentite ed obiezioni, “Isolation”, assieme a “IV” e “The Seventh One”, rappresenta uno dei più alti picchi compositivi raggiunti dalla band di Steve Lukather e dei fratelli Porcaro. Considerato da molti, non a caso, come il disco più significativo della formazione di Los Angeles, si colloca nella storia del genere con la prestigiosa etichetta di una delle manifestazioni più brillanti e significative dell’intera epopea ottantiana.
Magistrale.
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Tracklist:
01. Carmen
02. Lion
03. Stranger In Town
04. Angel Don’t Cry
05. How Does It Feel
06. Endless
07. Isolation
08. Mr. Friendly
09. Change Of Heart
10. Holyanna
Line Up:
Steve Lukather – Chitarra, Voce, Back. Voc.
David Paich – Tastiere, Voce, Back. Voc.
Jeff Porcaro – Batteria, Percussioni
Steve Porcaro – Tastiere, Back. Voc.
Mike Porcaro – Basso
Fergie Frederiksen – Voce
Additional Musicians:
Bobby Kimball, Richard Page, Gene Morford, Tom Kelly – Back. Voc.
Gene Morford – Basso
Tom Scott – Sassofono
Lenny Castro – Percussioni
Chuck Findley, Jerry Hey – Tromba
Michael Cotton – Sintetizzatore